Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

gere in questa metafora (sfiorata dai cupi bagliori della generazione diabolica) come un rampollo di pensiero magico che abbia attecchito in seno al pensiero razionale: il presentimento, appunto, dei mostri dell'inconscio - quale del resto trapela da altre pagine degli Essais. Metterli «en rolle», dice Montaigne: registrarli. Ma come dire l'indicibile, come registrare l'inconscio? Si tratterà piuttosto di metterli in riga, quei mostri, di addomesticarli, di patteggiare con essi, per proteggersi dall'aggressione - per difendersi dalla nevrosi. Marie de Gournay, la fille d'alliance dello scrittore, vedeva nell'opera «l'elébore de la folie» (così nella prefazione all'edizione da lei procurata nel 1635), intendendo una panacea per i lettori. S'intenda anche una profilassi a parte subiecti: senza la paura del disordine mentale, senza il terrore della follia, senza insomma lo sgomento che abitava Montaigne forse gli Essais non esisterebbero8 • La funzione di questo libro è appunto di elaborare un discorso razionale che trattenga le impennate dell'«esprit» e quindi tenga i mostri a distanza; abbandonato a se stesso, quel «cheval eschappé» rischia di smarrirsi nelle lande dell'inesprimibile, preda delle chimere i cui artigli potrebbero fare a pezzi il soggetto. Bisogna dunque domarlo, bisogna che la parola lo imbrigli e lo aggioghi alla pagina, riducendo i suoi scarti sregolati e bizzarri a un'andatura semplicemente «vagabonde» (II, 6, 358c), che si possa seguire e descrivere. Rivendicando l'ordine e la logica, il discorso di Montaigne resiste allo strano fascino della follia, e mobilita contro di essa il potere redentore d'una parola ragionevole. La scrittura così tende a nascondere e a nascondersi ciò che la muove, poiché «nostre veiller n'est jamais si eveillé qu'il purge et dissipe bien à point les resveries, qui sont les songes des veillans, et pires que songes» (II, 12, 581c). Gli Essais: una terapeutica senza fine, in cui il testo si sdoppia costantemente in un paratesto ossessivo che ne mina le fondamenta. 118

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