Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

duplice che si dà per oggetto l'analisi del proprio discorso, restano inosservate le faglie, e inesplorate quelle incavature (del discorso) dove vibra la voce d'un indomabile Altro. Ovvero: poiché Montaigne non ha mai cessato di portare alla luce tendenze e pulsioni nascoste, si continua ad insistere sui propositi esibiti negli Essais, senza por mente a ciò che esula dalla conclamata consapevolezza della sua regia discorsiva, senza indagare, nella sua pagina, certi angoli bui, certe profondità crepuscolari dove si agitano misteri informi e si aggrovigliano nodi di minacce... Ancora, in altre parole: Montaigne è riuscito a far credere che parlava della condizione umanamentre stava lottando contro le sue ossessioni: l'essai è la trasformazione in discorso filosofico dei «mostri» del soggetto. Dico «mostri» pensando, naturalmente, al capitolo De l'oisiveté (nel quale concordemente si riconosce l'atto di nascita del libro); è così infatti che Montaigne definisce i bizzarri e proliferanti prodotti del suo «esprit», manifesando l'intenzione di metterli «en rolle»: 116 Demierement que je me retiray chez moy, deliberé autant que je pourroy, ne me mesler d'autre chose que de passer en repos, et à part, ce peu qui me reste de vie: il me sembloit ne pouvoir faire plus grande faveur à mon esprit, que de le laisser en pleine oysiveté, s'entretenir soy mesmes, et s'arrester et rasseoir en soy: ce que j'esperois qu'il peut meshuy faire plus aisément, devenu avec le temps plus poisant, et plus meur. Mais je trouve, variam semper dant otia mentem que au rebours, faisant le cheval eschappé, il se donne cent fois plus d'affaire à soy mesmes, qu'il n'en prenoit pour autruy; et m'enfante tant de chimeres et monstres fantasques les uns sur les autres, sans ordre, et sans propos, que pour en contempler àmon aise l'ineptie et l'estrangeté, j'ay

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