la frase ben nota: «Je n'ay rien à dire de moy entierement, simplement, et solidement, sans confusion et sans meslange, ny en un mot» (II, 1, 319c). Gli Essais, un autoritratto? Tutt'al più una serie di approssimazioni, fondate sulla consapevole impossibilità di fissare un'identità personale, sulla persuasione che esistono tanti je quante sono le occasioni della vita e del discorso. Qualcosa, al limite, come un album di schizzi, anzi d'istantanee, che non eliminano il tempo di posa, ma lo riducono al minimo, e consentono la ripresa d'un soggetto in movimento. Via, dunque, i «gestes». Via anche un'ipotetica forma permanente, definibile del sé (quella «forme maistresse» [III, 2, 789b] su cui si è tanto disquisito), la cui sola permanenza consiste nella sua permanente mutevolezza. Senza più nulla davanti - se non, si potrebbe dire, il desiderio di scrivere allo stato puro - Montaigne può compiere il passo che gli permette, mentre dice je, di lasciar apparire le fenditure di sé soggetto. A questo punto la passione della scrittura - assoluta, esclusiva - viene a coincidere con la rivelazione, con la scoperta illuminante di sé, ossia: le due follie - il desiderio di scrivere e la scrittura del desiderio (quel desiderio che ha nome La Boétie)5 - si sommano; e il solo modo di neutralizzarle, di rimanere «al di qua», sul terreno dell'equilibrio e della «salute», pur intaccando la frontiera dell'inconscio, sarà una scrittura razionale, controllata e riflessa (che riflette sui propri meccanismi), capace di riassorbire e ricomporre le lacerazioni: la scrittura dell' essai6 • Infatti smagliature e lacerazioni sdrucirebbero di continuo il testo degli Essais se la scrittura dell'essai - pratica bifida di scrittura al quadrato, al secondo grado, che s'interroga sul suo proprio funzionamento - non consistesse in una paziente e costante operazione di rassetto e rammendo, che occulta lo strappo sviando l'attenzione sull'arte di passare e ripassare i fili. Così, in questo libro 115
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