Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

alla luce il processo con cui Balzac umanizza la pantera, o per essere più precisi, la trasforma in «donna», in «amante», secondo i gradi crescenti della civetteria femminile. Già l'identificazione con una «gatta» («une chatte couchée sur le coussin d'une ottomane») l'ascrive a un'animalità domestica e in qualche modo antropomorfizzata - senza contare che «chatte» è appellativo del linguaggio erotico umano. Ma la successione è sempre più significativa: «petite maitresse», «la plus jolie des femmes», «c'était joli comme une femme», '«une vague rassemblance avec la physionomie d'une femme artificieuse», fino a «ma petite blonde» e all'attribuzione di una sovranità libidica incontestabile: «courtisane impérieuse», «sultane du désert». In parallelo, si snodano i rimandi ai campi della «grace», della «mollesse», della «coquetterie». Le picchiettature del manto sulle zampe formano dei «jolis bracelets»; gli anelli bianchi e neri della coda brillano «comme pierreries»; la testa risalta con una «rare expression de finesse»; e a interrompere giochi e civetterie animali, in un punto nodale del racconto, erompe un «grondement» di autentica gelosia... Il processo che ho indicato è piuttosto curioso perché in certo senso contraddittorio rispetto al fondo del racconto. Esso tende a una metaforizzazione dell'animale, a una riduzione finale della pantera in figura retorica del linguaggio amoroso - tanto d'«amor cortese» quanto di corrente intimità quotidiana; dove appunto l'amata, per inaccessibilità araldica o aggressività carnale, sopporta l'immagine della «bella fiera», della «tigre» o della «pantera», secondo terminologia vulgata. Su questa strada il racconto si fa normalizzatore; diventa, insomma, un discorso che «raffigura», secondo corrispondenze retoriche convenzionali, le strutture di un topos, appunto la «passione amorosa». Ma io credo che ciò sia deviante dal nocciolo duro del11

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