Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

caccio nel Filostrato e nella Teseida, che elevò l'ottava a dignità letteraria, sottraendola al mero uso popolare che la vedeva accoppiata al canto. Su quella scia, l'ottava si era conquistato un posto di privilegio nei poemi cavallereschi del Quattrocento, e si era piegata a più sottili risonanze liriche nelle Stanze per la giostra di Poliziano. Queste del Bembo rivelano di una riuscita intenzione di colorare i precedenti modelli di una più marcata impronta linguistica petrarchesca, e tuttavia più di ogni altro suo esito in versi denotano una certa autonomia, anche linguistica («una cinquantina di parole mancano del sigillo petrarchesco», nota Dionisotti (p. 651), e una semplicità di dettato che le distanzia nettamente dai componimenti delle Rime. È diffusa opinione della critica che, nelle Stanze, venga espresso e riformulato il punto di vista che sull'amore è sostenuto, negli Asolani, da Gismondo, non solo contro Perottino, ma anche nei confronti del portavoce di Lavinello, il «romito». Nelle Stanze viene meno ogni forma di opposizione, di contrasto; per bocca dei suoi due ambasciatori è Venere stessa, la dea dell'amore, che parla, e «senza question farne ognun le crede» (4, 6), non solo nella sua corte celeste, ma anche in quella terrena di Urbino, ove le stanze vennero recitate «la sera del Carnevale MDVII». In realtà, nel dialogo, Gismondo appare, nell'insieme, esitare nella celebrazione dell'aspetto carnale dell'amore, trattenuto sia dalla propria commossa partecipazione alla «cotanta amaritudine» (Asolani, I, XI), dalla «pietà della sua vista» (I, XXIX), del suo «carissimo amico» Perottino (II, II), sia dalla pudicizia delle ascoltatrici, in particolare di Sabinetta «che garzonissima era» (II, XXI). Ben più sciolto è l'elogio del piacere amoroso, l'esortazione a goderne liberalmente «nell'aprile e nel maggio» della vita, come vien detto nella ottava trentuno: E per bocca di lui chiaro vi dico: 109

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