Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

teratura che fu Pietro Bembo, fu poeta anche in proprio, e rinomatissimo al tempo suo, e imitato anche oltre confine. Dalla poesia, dalle Rime, egli stesso si attendeva - come dirà nel sonetto LXVI di potersi levare al volo; e i suoi versi fece ampiamente circolare manoscritti prima di raccoglierli in una prima edizione a stampa nel 1530, e di curarne poco dopo, nel 1535, una seconda, arricchita e corretta. Occorre dar fede, al di là di quanto può esser dovuto al prestigio intellettuale e alla stessaposizione sociale dell'uomo, al giudizio che ne dettero scrittori come l'Aretino («l'eterna penna del Bembo»)12 e lo stesso Ariosto nell'ultima versione del suo poema, con i versi qui citati in esergo. Oggi, malgrado qualche tentativo di rilettura, si stenta a riconoscere alle sue quasi duecento composizioni in rima, un sentore di valore poetico. La rigida gabbia petrarchesca cui egli si costrinse sembra non avergli consentito, se non in qualche isolata occasione, di sottrarsi al demone monocorde dell'imitazione. Quasi per ironia, sono proprio i poeti che egli, come si è visto, sembrava non apprezzare, Lorenzo de' Medici, Poliziano- per non parlare di Ariosto, la cui grandezza sfuggì del tutto al Bembo - e persino gli autori «popolareggianti», a rispondere ad un criterio di valutazione che, già presente nella critica settecentesca, appare sempre più confermato dalle più recenti letture del nostro Cinquecento. Ma l'ironia, in certo qual modo, si raddoppia, se si convalida l'opinione, che è di Bonora e di altri, secondo la quale, «accenti di una poesiaminore, ma ben sua, il Bembo seppe trovare se mai in quelle Stanze che furono recitate alla corte di Urbino nel carnevale 1507»13 • «Recitate», come dice il titolo, «per giuoco dallui e dal S. Ottaviano Fregoso, mascherati a guisa di due ambasciatori della dea Venere», queste cinquanta ottave («stanze») rivelano il loro debito alla tradizione inaugurata da Boc108

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