come il grido di un celebre quadro di Edvard Munch, non risuonerà mai. Ora, proprio il definitivo approdo del dialetto alla scrittura ha potuto legittimare quell'impiego al di fuori dei suoi universi di riferimento che a taluno è apparso, non senza ragione, una forzatura. Intesa quale imprescindibile momento della fruizione del testo, l'oralità contribuiva a mantenere il dialetto ancorato alla propria realtà. Riducendosi invece il dialetto a segno grafico, esso ha potuto apparire come il luogo di una libertà non dissimile da quella accessibile a tutti i codici scritti. Per un settore dell'attuale poesia il dialetto non è segnato da alcuna limitazione, è una lingua esattamente come tutte le altre, di cui sviluppare le ricche e spesso inesplorate potenzialità. Le perplessità che suscitano posizioni come queste dipendono dall'insufficiente considerazione dei limiti - beninteso storici, non assoluti - dei dialetti. In gioco non è la potenzialità semantica delle lingue popolari, ma la loro specializzazione, il loro "genio". Già il Manzoni, che pure aveva riconosciuto sia nel Sentir messa sia nella relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di di ff onderla la piena funzionalità comunicativa di dialetti come il milanese, non nascose le sue riserve linguistiche a proposito degli idiomi municipali. Nella seconda redazione dell'introduzione al Fermo e Lucia, discorrendo del dialetto, lo scrittore parlò di «verità locale» e di «lingue particolari», mentre in Una discussione sui dialetti nel secoloXVIII, dedicata alla polemica del Parini con padre Onofrio Branda, rilevò che i dialetti «non ammettono quasi mai una idea generale». Fissare un sentimento, un'essenza della dialettalità è evidentemente impossibile, vista la profonda differenziazione delle vicende sociolinguistiche della penisola23 • Quella lingua che al Belli poteva apparire «abietta e buffona», era difesa dai romantici milanesi, il Porta in testa, in quanto attraverso di essa era passata tanta parte e non 51
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==