Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 68 inverno 1990-1991 Virginia Finzi Ghisi 5 La voce dipinta Sergio Finzi 7 Il genio linguistico del sogno e le trasformazioni della voce Franco Brevini 40 Oralità e genio della lingua nella poesia dialettale del Novecento Giorgio Orelli 59 La prima ottava dell' «Orlando Furioso» lmre Hermann 68 L'auto-regolazione e Ivan F6nagy del volume della voce Ivan F6nagy 83 Prolegomeni a una caratterologia vocale Gabriele Frasca 105 Le voci della radio Rossana Bonadei 137 After-Joyce, After-War Sguardo modernista e 'rumore' del tempo nel romanzo di Henry Green Franco Bompieri 170 Il vecchio Bugia Gabriele Frasca 175 Rimastichi Mario Spinella 181 Interpellazione e discorso diretto nel «Furioso» STANZE Sarah Klaniczay 206 Aspetti della psicoterapia dei bambini affetti da balbuzie Francesco Stoppa 224 Un caso nell'istituzione DISCUSSIONI Secondo Giacobbi 231 Il modello teorico di Fornari 238 INDICE 1990

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Moreno Manghi, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Paolo Bollini, Franco Bompieri, Rossana Bonadei, Franco Brevini, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Ivan F6nagy, Gabriele Frasca, Secondo Giacobbi, Giuliano Gramigna, lmre Hermann, Sarah Klaniczay, Ermanno Krumm, Giorgio Orelli, Mario Spinella, Francesco Stoppa, Matilde Tortora, Italo Viola, Ugo Volli. Nel numero 67 del Piccolo Hans i traduttori del testo di W. R. Bion "Psichiatria in tempo di crisi" erano Luca Rosi e Partenope Bion; la traduttrice del saggio di F. Tustin "Riflessioni sull'autismo" era Simona Nissim. I nomi indicati erano dei revisori. redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, tel. (02) 2043941 abbonamento annuo 1990 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media Presse, Via Nino Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Tipolitografia Meina, Carugate (Milano)

La voce dipinta Quando Bonnard, che non datava le sue lettere, così incominciavo un recente editoriale, segnava ogni giorno sulla sua agenda la rappresentazione delle condizioni del tempo, nuvoloso, molto nuvoloso, sole, metteva dietro la parola tempo il disegno, o meglio il colore, che ne sfumava i bordi, di un tempo che dalla lingua e dal suono raggiungeva le forme naturali di un mondo in cui il tempo dell'uomo ritrova il segreto del paesaggio. Così i sintomi fobici hanno ritrovato una loro pianta, il luogo della fobia, e il godimento del padre, attraverso i sogni, i suoi colori e le gradazioni che lo riportano alle forme animali e a ciò che rimane del padre primordiale. La curiosità, l'intaglio di certe frasi nei sogni viene dalla curiosità, dalla stranezza che per noi mantiene l'esistenza di un linguaggio quando il pensiero che si costruisce e determina nel luogo della fobia in una pianta disegnata, con una barriera e un animale, l'animato e l'inanimato, ha sempre, . celati, segreti, i suoi «metereologica», dove «il sole si vela di nebbia e diviene indistinto, e prima dei terremoti che avvengono al mattino v'è talvolta forte freddo con tempo sereno». A questo si lega, per Aristotele, che un terremoto avvenga o non avvenga, abbia o non abbia un suono, o ci sia 5

un suono, talvolta, senza terremoto. Questo suono isolato, senza segni, non è dunque privo del suo paesaggio dipinto. Frasi che attraversano il tempo e che diventano in tutte le lingue stereotipi quasi privi di conseguenze culturali, incapaci di far tremare una qualsiasi corda del cuore, « Il grande Pan è morto», come la piccola frase del sogno, ci riportano indietro di millenni e dal tempo ripassiamo al tempo. C'era una gran bonaccia, quel giorno, e la nave fu portata presso l'isola di Paxo. Ci fu una voce, un grido, per tre volte fu chiamato dall'isola il pilota egizio perché portasse a sua volta a Palode un annuncio. Terrore e perplessità furono vinti da una decisione: l'annuncio non sarebbe stato dato se passando lungo la riva un forte vento avesse sospinto la nave; l'annuncio sarebbe stato dato se invece il vento fosse caduto e la calma regnasse nei dintorni. Così fu, e quando si giunse presso Palode, e regnò una gran pace e di venti e di f7.utti, il pilota esclamò, come aveva udito: «Pan, il grande, è morto!». Così una voce, perdendo l'eco della caricatura, ritrova la pittura. Virginia Finzi Ghisi 6

Il genio linguistico del sogno e le trasformazioni della voce STEPHEN - (Guarda indietro.) E quindi il gesto, non la musica, e neppure gli odori, sarebbe un linguaggio universale, il dono delle lingue che rende visibile non il senso corrente bensì la prima entelechia, il ritmo strutturale. (Ulisse, p. 586) Il più saliente dei pochi ricordi d'infanzia di una giovane anoressica della quale si sa che, a causa di un disturbo della madre, ha subìto l'interruzione di un mese e mezzo dell'allattamento al seno, è quello che lei stessa racconta di una passeggiata durante la quale passando davanti a una segheria si ostinò a leggere l'insegna come leg-nami al posto di legnami. Questa storpiatura voluta della parola ha una sua legalità in fondo, non è un atto puramente infantile di deformazione ludica del linguaggio: consiste nel tentativo, nella proposta di una diversa sillabazione, una sillabazione come potrebbe esser consentita per esempio in un'altra lingua, una lingua straniera. La storpiatura è un tentativo di straniamento del linguaggio, di distanziazione da una lingua materna che contiene evidentemente dei trabocchetti. Tra cui quello veramente terribile della parola legnami che chiude all'interno un'espressione, un gesto vocale, gnam, che è un morso e che attualizza la carica aggressiva, cannibalica che il bambino, staccato e poi riattaccato una seconda volta al seno trova rinforzata e traboccante in se stesso. Per colmo di compiacenza linguistica, la soppressione 7

anoressica dell'appetito, tolto il gnam, lascia nondimeno un buco in mezzo alle residue lettere, le due iniziali le e la finale i, in cui si rappresenta il fatto compiuto della divorazione del seno incostante di le.... i, la madre. Questa interpretazione viene confermata dal disgusto, dalla vera e propria nausea, che la paziente afferma di provare ogni volta che la mamma pronuncia la parola ciucciare. Ma la scelta operata, la proposta di una ricombinazione delle forme sonore grazie alle possibilità offerte dalla scrittura, una seconda opportunità intesa a ripetere e correggere il doppio allattamento, non è meno spinosa. Il materiale del legno, infatti, che nell'inconscio appare sempre collegato ai processi vitali elementari, la linfa che si accresce su se stessa come il liquido spermatico si ricopre delle carni di un embrione, apparendo sul posto di una segheria e assumendone il suono duro della I g I , viene a comporre il riferimento al godimento solitario ma non infecondo del padre cui lo psicotico attribuisce la nascita, come direbbe Bruno, di «mille gigantoni». La parola godimento mette a disagio: mi è stato talvolta fatto pervenire il suggerimento di non insistere su un concetto così ostico, per il pubblico, come quello di godimento del padre. Forse si sarebbe preferito continuare a sentir parlare di jouissance, un termine che sembra correggere l'incongruenza spesso lamentata di una parola come jour, priva della luminosità che si addice al dì, e aprirsi alla radiosità promessa fin nel nome di Luce lrigaray. La parola godimento è in effetti piuttosto scura, ma ha il pregio di non ingannare. Non promette a nessuno di potersi nella «differenza» salvare da ciò che nella parola godimento rileva di un marchio universale. È questo il marchio stesso del linguaggio, apposto al dorso del gregge umano, conforme alla formula su cui si è soffermato Jakobson del «triangolo fondamentale» che vede per tutti gli uomini, nell'apprendimento del linguaggio, le conso8

nanti labiali opporsi alle dentali e coronarsi infine delle occlusive velari: «con due assi perpendicolari, l'uno, orizzontale, grave-acuto, l'altro, verticale, compatto-diffuso»1: / k "-.__ p---- t Nella parola godimento la dentale /d/ apre la strada al1'opposizione labiale-dentale di Imi e /t/, opposizione da cui muove lo sviluppo del linguaggio infantile. Posta al1'inizio, nella posizione conferitagli dall'essere al vertice del triangolo consonantico, la /g/ entra però in scena con quel qualcosa di esplosivo, eco di antichi gesti del linguaggio interiettivo dell'epoca della suzione, che sembra figurare un originarsi della lettera in due tempi, prima come verso poi come fonema2 , consono alle due battute di inizio della vita sessuale umana confrontate alla sessualità già operativa del padre. La parola godimento, così come suona, contiene tutta una glottogonia: per il risalto che vi prendono le dentali, in accordo al privilegio loro riconosciuto dalla linguistica, sotto la cuspide della occlusiva /g/ che, simmetricamente alla /a/ nel sistema vocalico, occupa la posizione da cui si diffonde il tenue colorismo delle consonanti incrociando l'asse del processo fondamentale luce/ombra che accompagna il contrasto di dentali e labiali3. Infatti, come mette ripetutamente in evidenza Jakobson valorizzando le scoperte di Stumpf e di Kohler, esiste una stretta correlazione tra il sistema dei suoni del linguaggio e i colori. E così al triangolo primario del linguaggio infantile a-p-t corrisponde la «triade rosso-nerobianco», «risultato sul piano concettuale del dualismo fondamentale scuro/chiaro con il contrasto secondario tinteggiato/neutro» 4 • Così delinea Jakobson sinteticamente «lo sviluppo dei 9

suoni in elementi costitutivi di significato»: «prima appaiono le consonanti, che si dividono sulla linea orizzontale o bianco-nera; poi si associano a queste le vocali, che si differenziano lungo la linea verticale secondo il grado di cromatismo»5. «Evidentemente le due serie di qualità, "luminosità-cupezza" e "cromatismo-acromatismo" sono comuni al suono e alle sensazioni visive, e la struttura dei sistemi di suono e di colore mostra marcate concordanze»6 • Gli studi di fonosimbolismo o di psicolinguistica sono stati più conseguenti per quanto riguarda la luce che per quanto riguarda i colori. Mentre nel primo caso la stretta associazione e il binarismo oppositivo della coppia luceombra o chiaro-scuro permettevano di rispettare il criterio metodologico del relativismo raccomandato da Jakobson (non vi sono sostanze solo rapporti), per i colori si cercava invece di far corrispondere una vocale, una consonante a un colore determinato, con qualche successo bisogna dire, ma anche con una sostanziale inanità. La mia scoperta del ruolo assolutamente centrale che la nozione di gradazione ha nel pensiero di Charles Darwin, la scoperta cioè che egli descrive le modificazioni della selezione naturale e della selezione sessuale secondo un criterio coloristico e pittorico che nei processi naturali mette in luce un'analogia strettissima con i rapporti tra sfumature di colore, gradazioni, appunto, mi ha portato a riscontrare il ruolo parimenti importantissimo che la definizione dei toni di tinta ha nei sogni e questo a partire dalle mie osservazioni sui sogni traumatici di soggetti che a cinquant'anni dall'ultima guerra e senza avervi partecipato sembrano portarne ferite e mutilazioni psichiche7 • Il nevrotico di guerra di oggi, quello che ho chiamato nevrotico di guerra in tempo di pace, soffre di residui. E per residui intendo, come i darwiniani «organi che portano lo stampo dell'inutilità» o le espressioni che avendo perso ogni aggancio con gli atti significativi da cui discendono, 10

formano l'alfabeto di un linguaggio mimico, gli effetti luminosi e coloristici che costituiscono il commentario onirico ai processi di ripetizione ed elaborazione di un trauma incomprensibile cui il soggetto presta spesso il rivestimento poco convincente di una psiconevrosi. Ho mostrato come la gradazione della luce e dei colori, l'indicazione da parte di una paziente di sfumature che mettono in risalto delle tinte (rosa-arancio, giallo-verdastro), significa nello stesso tempo l'emergere di un segnale di pericolo, giacché la gradazione avvicina al godimento del padre, e in questa approssimazione il soggetto si commisura a,lla psicosi, e anche una modalità di cura che ha come riferimento l'impasto e il disimpasto delle pulsioni sessuali con l'istinto di morte. Il testo di un sogno di una donna appartenente a questa nuova specie della clinica mette in relazione, in comunicazione, consonantismo e colorazione. Sogna di doversi far curare un dente. Come spesso succede nelle analisi una particolare inflessione della voce della narratrice fa sì che l'analista registri questa parola dente e in particolare le consonanti Idi e /t/, dentali, che la compongono, come particolarmente significative. Si trova dal dentista, che però è diverso dal suo abituale, forse un sostituto più giovane, e si raccomanda perché nell'incapsulare o ricostruire il dente, che è uno dei due incisivi centrali superiori, venga mantenuto il piccolo gradino che lo rende diverso, leggermente più corto, di quello accanto. Il dentista le risponde che può farle il dente più grigio o più rosa. Lei pensa che non lo vorrebbe grigio, ma teme che rosa le stia male. Osserva un campione di colore che il dentista le porge e nota che il rosa è meno "choccante" del previsto. Dice però che lei desidera sentire il parere del suo dentista vero e proprio. Emerge la gradazione (una gradazione di gradazione, giacché grigio e rosa sono già due sfumature). E questo in rapporto a un termine "dente" dove risaltano due conso11

nanti /d/ e /t/, due dentali appunto, che hanno la caratte'ristica di differenziarsi dalle labiali, nello sviluppo del linguaggio infantile, a uno stadio in cui dei colori non è conosciuto che il sistema rosso-nero-bianco, qui abbassato nei toni del grigio e del rosa. Il sogno ripercorre le fasi dell'acquisizione del linguaggio e ne evidenzia le leggi strutturali. Come il legno, i denti sono sostanzialmente simboli della generazione, anzi, più strettamente, simboli del prodotto seminale: notiamo a questo proposito come in relazione a un pasto, quello descritto nella Cena de le Ceneri, Giordano Bruno richiami più volte il mito della procreazione di uomini armati per mezzo dei denti del drago sparsi in terra da Giasone. L'operazione di odontotecnica ci appare dunque interconnessa a un piano di manipolazione regolativa del rapporto del soggetto con il godimento paterno di cui si accetta e sottolinea una provvidenziale diminuzione di tono. La donna infatti da piccola aveva ricevuto in dono una macchinina che riproduceva nella forma e nel colore rosso brillante l'originale di un'auto sportiva appena acquistata dal padre, il quale però, in seguito alle sue critiche per la tinta "poco seria" del veicolo, lo aveva fatto ridipingere di un color grigio argenteo. Nel sogno dunque la donna sembra arrendersi e rinunciare al sogno di veder risplendere il colore della sua passione incestuosa per il padre, accettando un abbassamento di tonalità, rosa al posto di rosso, e curando che tra i denti simili venga mantenuto il gradino di una differenza di livello. Un ulteriore "abbassamento" è indicato dal ricorso a una tecnica artigianale, odontotecnica invece di odontoiatrica, mentre l'impiego di una "protesi" mette in luce quel ricorso all'inanimato che nel luogo della fobia8 isola e raffredda la minaccia contenuta nel fantasma di una animazione univ�rsale. 12

E qual è questa minaccia? Dobbiamo ormai imparare a distinguere da una nozione di Inconscio, che è personale, chiuso nei limiti di un corpo e almeno limitatamente accessibile, quella di un Es che è invece variamente intessuto in un campo di relazioni intersoggettive: per cui alle relazioni di parentela giuridicamente riconoscibili si intreccia, ma senza alcuna confusività, una trama di rapporti impensabili da cui per esempio la figlia, nel caso in questione, benché felicemente coniugata, appare dalla madre maritata fin da prima di concepirla e fin dentro la morte, al padre. L'Es non è un'anima inconscia, è un inconscio di relazioni. Questo piano dell'Es non è riconducibile alla coscienza. I colori dei sogni e la gamma, pure variamente colorata, delle tonalità della voce, lo registra fedelmente. Per questo è vero quanto F6nagy annota sulle passioni: che «le emozioni si manifestano sotto forma di una performance drammatica» e che «la curva melodica sarebbe l'icona di una curva vitale (nasce e muore)»9 • Dell'operazione contenuta nell'accostamento del campione di rosa al dente da incapsulare, un gesto materiale che è anche un gesto vocale, ci dà la chiave un grande linguista, Jakobson, quando osserva che «dans la série des diffuses aigi.ies (dentales), /si et /z/ sont les opposées stridentes de /t/ et /d/»10 • La scienza della voce trae in luce ciò che la scienza del sogno ha effettuato, la performance che, legando la passione incestuosa e operando tecnicamente sul seme/dente del godimento paterno, porta a compimento una lavorazione/ riappropriazione del cognome paterno che nel caso della donna del sogno contiene come consonanti sonore intervocaliche la /s/ stridente di rosa e, nella elaborazione che l'analizzante ne fa, anche la /z/. La modulazione della voce esprime e trasforma il peculiare rapporto di ciascun individuo con il godimento del padre e la condivisione del cognome. Il sentimento che molti analizzanti faticano ad ammet13

tere dopo anni di analisi quando vanno man mano rendendosi conto che niente storicamente e razionalmente lo giustifica, è il sentimento di un 'offesa impossibile a vendicarsi, diversa da tutte quelle che la ricognizione analitica ha messo in campo, più profondamente incisa eppure irriconoscibile. C'è stata una cena, allegra e piena di scherzi rivolti dal padre alla giovane sposa appena portata sull'isola e presentata al figlio quattordicenne. «Nel passare davanti alla camera di mio padre, udii di là dagli usci chiusi un conci. tata bisbiglio. Raggiunsi la mia camera quasi di corsa: provavo d'un tratto il sentimento incomprensibile e acuto di ricevere da qualcuno (che non sapevo tuttavia riconoscere) un'offesa impossibile a vendicarsi, disumana. Mi spogliai in fretta, e mentre impetuosamente mi coricavo, involgendomi nelle coperte fin sopra il capo, mi giunse attraverso le pareti un grido di lei: tenero, stranamente feroce, e puerile.»11 Questo motivo dell'offesa così simile a quello degli analizzanti e che si ritrova nel romanzo L'isola di Arturo di Elsa Morante porta a un grido. Questo grido attraversa tutto il romanzo divenendo come il rivelatore della nuda istanza della voce. È dunque dapprima questo grido della giovanissima matrigna, anche lei adolescente, la prima notte di nozze. Poi il grido si interiorizza e affiora dai sogni quando Arturo si trova a fare i conti con la presenza in camera sua della donna che ha paura del buio e della solitudine in cui la lasciano le lunghe assenze del marito. «Avanzavo contro la dormiente armato di un pugnale, per punirla della sua impostura, e la sbugiardavo aprendole la camicia sul petto, così da scoprire le sue mammelle candide, rotonde... Essa gettava un grido. Non era nuovo, ai miei orecchi, questo grido: lo avevo già udito, non ricordavo più né quando né dove. E non conoscevo nessun altro suono altrettanto orrendo, capace di scuotermi l'animo e i nervi come questo.»12 14

Il grido ci appare qui spaesato, destoricizzato (non ricordavo quando, né dove) allo stesso modo dell'offesa non attribuibile ad alcuno di riconoscibile. L'incertezza del rico�oscimento entra in gioco anche a proposito dell'impostura che il ragazzo in sogno imputa alla matrigna immaginando che si sia insinuata in camera sua con l'inganno, «fingendosi un ragazzo come me, vestita di una camicina che le cadeva sul petto liscia liscia, quasi che sotto non avesse forme di donna»13 • E irriconoscibile è anche la voce di Nunziata allorquando nella notte in cui dà alla luce un figlio geme e urla in modo inumano. «Ma di notte tardi (doveva essere circa l'una), mi riscosse, dalla stanzetta di Nunz, un gemito cupo, più bestiale che umano; interrotto da urla di un'angoscia tale, mai prima udita, che, ancora mezzo addormentato, io d'impeto corsi alla stanzetta, e ne spalancai l'uscio.»14 Queste crude emergenze di suoni disordinati in cui la funzione del linguaggio di separare e collocare le persone, le azioni, gli oggetti e i sessi sembra sprofondare, mentre torna a galla l'Offesa verso «quel prepotente mistero che strazia» una donna, fanno da prologo alla crudele anatomia della voce paterna che alla fine scioglie scandalosamente i misteri e gli enigmi del romanzo. «La sua voce, ch'io riconobbi subito con una scossa, veniva dalle più basse, nascoste propaggini della montagnola, così che pareva salisse dal fondo del precipizio marino. Simile illusione dava, alla scena, la solennità inquieta dei sogni; ma la cosa più strana, per me, era questa, anzitutto: che lui cantasse. Non lo si udiva mai cantare, per solito, e la sua voce, di fatto, non era bella (era, si può dire, l'unica bruttezza in lui): di un suono acido, quasi femmineo, disarmonico.»15 Pur uscendo dai recessi di una montagna, dal fondo di un precipizio, la voce ora si è fatta riconoscibile: è quella del padre, di Wilhelm Gerace, ma a costituirne la grana 15

sono tutti gli elementi del grido di Nunziata, la voce di Wilhelm è l'eco del grido di Nunziata. E questo, tenero, stranamente feroce, e puerile, risorge nel suono acido, quasi femmineo, disarmonico, che scuote i nervi ad Arturo destandolo dal sogno del suo amore favoloso per il padre: questi non è il creduto avventuroso viaggiatore. Nei suoi modesti spostamenti tra Napoli e Sorrento lo tiene fermo l'amore omosessuale per un carcerato. Il risveglio è effetto di una identità di percezione, del cogliere nel canto disarmonico di Wilhelm il prolungamento del grido di amore e di dolore di Nunziata. In questo senso è da intendere il rimando che il carcerato, il giovane delinquente corteggiato da Wilhelm, fa del canto e dei messaggi amorosi che, per mezzo di un linguaggio di fischi, gli vengono indirizzati: «Vattene, Parodia». Secondo il significato letterale della parola, che Arturo va a cercare in un vecchissimo vocabolario, «parodia» non riguarda tanto un comportamento quanto la qualità della voce. «Imitazione del verso altrui, nella quale ciò che in altri è serio si fa ridicolo, o comico, o grottesco»16 , nella voce del padre Arturo sente risuonare il verso di qualcosa che la rappresentazione del grido doloroso tende a coprire e mortificare, intendo dire il verso che accompagna l'orgasmo di una donna. L'Offesa, la grande offesa imperdonabile che sembra risorgere dietro ogni singola offesa e costituire lo scoglio di un'analisi interminabile, trova una possibilità di scioglimento solo se il paziente sviluppa, come Arturo, la forza di accompagnare questa trasformazione del Padre in Parodia fino ad arrivare ad amarne la «solitudine vergognosa», la prova del suo essere «mortificato e ripudiato come l'ultimo servo»17 • Lo psicoanalista può prestare variamente orecchio al suono della voce dei suoi pazienti e rilevare, come fa Ferenczi, nella voce strozzata di una donna la traccia del 16

tentativo di autostrangolamento che le permise di sostenere senza esserne distrutta un trauma sessuale18 , o nella voce stridula di un uomo la nota attuale di una soggezione illimitata all'imperiosità della voce materna. È possibile così isolare le «anomalie psicogene del timbro di voce»19 per cui un soggetto alterna l'impiego di due voci, una femminile e una profonda voce di basso. La parodia però di cui prima parlavo, questa parodia che diventa addirittura un nome proprio, è un carattere più strutturale della voce che ci permette di individuare l'ostacolo forse principale davanti al quale sembra spesso arrestarsi l'analisi degli psicotici. Ebbene: «Io sono lo scandalo», è la dichiarazione arbitraria, capricciosa che Wilhelm Gerace pronuncia all'inizio del romanzo e cui il nome ultimo di Parodia conferisce però scandalosa verità. La figura del "padre anale", una categoria da me introdotta in un saggio del 197Y0 , può essere riletta attraverso il riconoscimento di una particolare torsione delle teorie sessuali infantili: quella che nell'adattare la mente alla figura di un padre impotente e incontinente mostra al soggetto la via di ripristinare una modalità di nascita dall'ano che offre il duplice vantaggio di risparmiare (alla madre e a sé) l'orrore di uno stupro originario e insieme di accettare l'idea di una discendenza non genitale dal padre alternativa a quella dello psicotico dal seme del padre21 • La parodia è la discriminante sul finire di un'analisi tra un nevrotico e uno psicotico: uno psicotico se ne va sdegnosamente allorquando per qualsiasi ragione cala il suo rispetto per l'analista. Che la derisione, anche solo per l'ombra di un dubbio, possa spostarsi su altri che non sia il padre è insopportabile allo psicotico per il quale il "verso" che egli rifà si riferisce esclusivamente all'atto della sua stessa generazione. In questo senso il mondo è sacro e tutto ciò che vi è di profano riguarda la relazione con il padre. 17

Il "verso" è dunque qualcosa con cui il paziente nevrotico si trova a fare i conti, mentre lo psicotico si limita a ripeterlo chiamando l'analista a essere puramente e semplicemente il recettore di una intonazione di scherno nella sua voce. Il nevrotico si fa carico dello scherno. Ne è egli stesso vittima e prodotto. La caricatura che egli appunta al volto del padre ha i propri lineamenti. Lui stesso è parodia di «ciò che in altri è serio» (ricordiamo la definizione letta da Arturo). La parodia diventa così un mezzo di riconoscimento e una via di trasmissione che prepara la successione delBglio al padre. Ma che cosa differenzia allora la parodia nevrotica dall'interminabile scherno psicotico? Il fatto che la parodia, attraverso il riconoscimento del padre anale, non intacca, anzi ripristina quell'universo delle teorie sessuali che nello psicotico appare invece distrutto dal trionfo del "vero" come funzione scientifica dello sperma e della vagina. Possiamo ora vedere come nei sogni il "verso", nelle varie modalità di gemito amoroso, di atteggiamento di derisione, di azione del versare, venga lavorato e come in questa lavorazione di un "verso" si cerchi di dare alla vicissitudine amorosa un senso che, salvando l'errore delle teorie sessuali, non tolga verità e bellezza alla propria vita. Una donna sogna di essere dalle suore dove ha studiato con un'amica di allora, di nome che non dirò ma che comincia come l'interiezione degli indiani d'America espressiva di gradimento e soddisfazione: Ugh. Ugh le dice che viene sempre, per aiutare le suore. Lei ribatte che non è vero e Ugh riconosce che è venuta una volta sola, ammissione per cui la sognatrice si sente in colpa. L'amica poi, come trasognata, va diritta in via Dante, passa tra il vigile e un cartello stradale dove sono le transenne che chiudono il traffico che entra in centro. Intanto la figlia Selvaggia, una bambina "disturbata" tene18

ramente curata dalla madre, si agita più indietro e la sognatrice è contenta che questo avvenga, che la figlia del1'amica così perfetta stia male di nuovo. Ne prova però nuovamente rimorso. A questo sogno se ne lega subito un altro simile: entra in un albergo dove c'è molta gente, viene sua sorella e fa un verso che lei ripete; questo umilia la sorella che si apparta triste e lei ne gode sentendosi però ancora una volta in colpa. I due sogni sono un'inchiesta sul godimento femminile. Sarà vero che le altre fanno l'amore e godono tanto quanto la loro immagine di letizia darebbe ad intendere? Si procede così a smascherare l'amica e la sorella: non è vero che l'una vie.ne sempre, e la parodia del verso dell'altra la smonta e la mette in ridicolo. Ma l'indagine non è terminata: dopo l'amica e la sorella è la madre che la sognatrice osa mettere alla prova. Ricorda di avere ripetuto per ore al fratello malato il verso di Pierino Porcospino con il quale la madre l'aveva intrattenuto fino a poco prima. Il verso diceva: «La madre si gira l'occhialetto e mira le vivande sul deschetto». Con questa associazione che si presenta in seguito al sogno del "verso" la paziente si spinge fino a fare il verso al verso della madre confinandola i.n una pratica masturbatoria poco soddisfacente che la isola dal banchetto amoroso. Questo crudele défilé di dame va fino in fondo, come Arturo non arresta i suoi passi dietro l'abominio del padre. Esso porta però su due pot�nti inespressi: uno è l'interrogativo finale intorno al godimento del padre (se la madre si gira l'occhialetto a lui cosa gira?), l'altro è la direzione sottintesa ai sogni: il percorso transennato del sogno dell'amica è quello che va in direzione di piazza Castello e il motivo del castello, tipico del romanzo familiare che storna il dramma della procreazione, i genitori sono altri e più nobili, rimette in gioco le teorie sessuali dei bambini. L'essere malati dei due bambini del sogno, 19

la figlia dell'amica e il fratellino, entrambi in età adolescente, rinforza il senso dell'essere "in sofferenza" delle teorie sessuali nella paziente, da un punto di vista, quello dell'adolescenza, che è il punto cruciale di un volgersi indietro che interrompe la continuità di una maturazione naturale per riallacciarsi a quelle radici della salute mentale e dell'intelligenza che Freud ha posto proprio nelle credenze errate dei bambini. Le transenne ostacolano una viabilità che penetri verso il centro. Ma anche l'associazione con il verso «La madre si gira l'occhialetto e mira le vivande sul deschetto» ripropone all'analizzante, il cui padre si esercitava in piccoli lavori artigianali, il "luogo della fobia" delineato da Virginia Finzi Ghisi, nel quale la presenza della protesi (l'occhialetto) de-grada e contiene nella figura dell'artigiano la violenza della tecnica amorosa riportando il gnam di un "banchetto" (cannibalico) nella forma equivalente di un "deschetto". Con questi sogni ha molte analogie il sogno di un'altra paziente che si trova però ad aver dato una diversa, opposta risposta al trauma del godimento paterno: in luogo di reagire aggressivamente facendo il verso alle altre, qui la donna dimostra di aver adottato lei stessa lo stratagemma segnalato da Ferenczi dell'autosoffocamento masochistico, è a lei che si fa il verso e la cosa la lascia sconvolta e imbambolata. 20 Lizzi, il muratore mio amico sta lavorando intorno a un mattone con cui deve chiudere un buchino nel muro che sta costruendo. È l'ultimo tassello. Scopro però che c'è un altro buco più grande dove si tratta di disporre delle pietre che giacevano nascoste in un angolo. Il buco è più profondo, forse fatto a L come l'angolo nel cortile di un antico palazzo dove ho visto togliere delle bellissime pietre e sostituirle con un rivestimento moderno. In questo buco per cercare di pareggiare le pietre getto del materiale. Mi ac-

corgo però che si tratta di un materiale inadatto, diverso dalla terra, potrebbe essere sabbia ma più bianca, qualcosa di troppo fine e prezioso, come se fosse sale o zucchero. Viste le mie difficoltà, Lizzi ci butta un maglione color vino, ma non serve, anche questo assorbe nuovo materiale per cui verso, verso e lo spazio non si riempie mai. Passo allora in un'altra stanza e qui incontro il capo portiere in divisa che mi squadra con un atteggiamento violento, arrogante, col sigaro in bocca. Costui, che mi ricorda, anche per la voce, mio padre, mi fa una smorfia. Rimango sconvolta, sconvolta che mi si sia fatto il verso. Torno nella stanza di prima come imbambolata. Il giorno prima una collega si era sfogata con lei per l'offesa subita da un altro collega nel corso di un litigio in cui si era intromessa: le aveva fatto il verso. La sognatrice, -che da piccola rovesciava continuamente l'acqua e il padre le gridava «cretina!», pensa che in quel versare, versare per riempire un buco incolmabile vi sia una metafora della sua analisi in cui lei versa, versa parole. Ma «la parola è il racconto di una storia del trauma», come dice Ferenczi nel Diario da poco pubblicato22, e l'analisi vocale del verso diventa il lavorio per otturare il "bucone" lasciato da una violenza primordiale, simile alla falla aperta dal gnam nella parola legnami. Nello scambio che è proprio del trauma, che anche quando passa inavvertito ha come referente lo stupro attraverso il rapporto che il soggetto intrattiene con il godimento del padre, il rantolo dello stupratore diventa il verso fatto alla vittima che masochisticamente si fa carico di essere all'origine dello stupro (autostrangolamento traumatico) mentre si affanna a riempire un buco incolmabile. Ma nonostante la disperazione di questo lavorio è interessante notare la natura dei materiali impiegati. Sale e 21

zucchero, per la grana sottile e la somiglianza con la sabbia rimandano all'elemento del godimento paterno, il seme che come sabbia sembra popolare la terra; sale e zucchero però che rappresentano anche l'antipasto e il dolce, una concezione cioè del pasto amoroso che lasciando disertato il buco ed escludendo il pezzo forte di un banchetto, fanno trapelare la nostalgia per la possibilità di spilluzzicare offerta dalle teorie sessuali. D'altro canto il maglione gettato dal muratore gentile, dal curioso cognome femminile, nel disperante bucane, schiude i locali di quella fabbrica tessile che nei sogni imita, filando e intrecciando un filo seminale, e arginando così l'angoscia, la fabbrica stessa della vita e della morte. In un lavoro di qualche anno fa, Nel disegno del rebus: manipolazione del nome del padre e deposito di una "unità di misura" nelle teorie sessuali infantili23, indicavamo nel1'elemento femminile il tramite di quella lavorazione che permetteva la trasformazione del cognome del padre, anche attraverso la fase parodistica o caricaturale del soprannome, fino a consentire al figlio di arrivare all'individuazione del proprio cognome. Così tutta una serie di sogni che ho raccontato nel mio libro Nevrosi di guerra in tempo di pace mostra lungo la gradazione coloristica e le trasformazioni successive di segni darwiniani, strisce, macchie, ocelli, il formarsi di una rete che, utilizzata dallo psicotico a recepire (ricordiamo la simbolizzazione delle partite di calcio nel discorso psicotico) l'arrivo a destinazione del getto spermatico, viene invece utilizzata dal nevrotico per trasformare questa materia in una simbolizzazione diversa in cui la materia cede il posto alla forma. Parlavo lì della fine dell'analisi e della formazione dell'oggetto ball-and-socket, una palla ferma su uno zoccolo, simile a quello che appare in quest'altro sogno in cui vedrete di nuovo l'elemento grigioverde e granata, colori di un trauma legato alla nevrosi di guerra in tempo di pa22

ce. Posto all'inizio di un'analisi ne prefigura la fine. Sogna di entrare nel negozio di un antiquario dove c'è la figlia di un'amica del padre. Gira un po' tra le cose e la donna (magra, con gli occhi neri, non somiglia alla madre) la fa entrare in una stanzetta dove le mostra uno «scrigno in cui ci sono delle pietre color granata, tra rosso e arancio. Più in alto c'è un altro scrigno contenente delle pietre di un colore verdino e grigino (un grigioverde bellissimo, chiaro pallido un po' sul grigio tipo ardesia). Queste pietre sono piatte sotto e curve sopra. Viste da vicino mostrano delle ditate, delle impronte di pollice, come delle macchie, tranne una bellissima, perfetta, pulitissima». In questo sogno che completa qui la serie dei sogni della paziente che indagava sul godimento femminile si presenta invece il vero obiettivo della ricerca. La «figlia dell'amica del padre» che all'inizio del sogno introduce la sognatrice nel negozio sottolinea questa curiosa connotazione del romanzo familiare nel nevrotico di guerra in tempo di pace, - il padre della sognatrice ha avuto una lunga esperienza di guerra: che se lo psicotico è, come dicemmo altrove, figlio del godimento del padre, per il nevrotico i colori della guerra sono collegabili alla lavorazione del trauma. La guerra viene vista come godimento del padre ma è anche ciò che si frappone a dividere il figlio dal padre. I colori che emergono nel sogno del maglione si limitano al bianco, della sabbia-sale-zucchero e al rosso vino del maglione. Bianco è anche il prodotto che viene versato nel sogno di un paziente in fine analisi che riassume in modo stranamente esplicito, come per farla coagulare e stare in piedi, la sostanza un po' liquida di questo mio discorso. Ho sognato il papa. C'era una donna vicina a lui che versava una cosa biancastra, semi-solida, come la manna, in una coppa. Io richiamavo su ciò l'attenzione del papa e lui si rivolgeva a me e 23

mi diceva: «Tu sei Giorgio». Il papa mostrava di gradire il dono offertogli: intingeva il dito e lo portava alla bocca, dando segno di gustare il sapore. Poi si sposta e va a parlare con un gesuita; è come se si scambiassero genealogie. Penso che un prete più giovane non potrebbe parlare così al papa. La manna versata gli ricorda la «resumada» (riesumazione) che la mamma gli faceva con della chiara d'uovo montata finché per una modificazione affascinante non riusciva a consistere. Spettatore di un rapporto tra un papa, che è un papà, e una donna che gli si offre, il sognatore è soprattutto interessato a mettere in luce una tecnica amorosa non genitale, in cui prevale la mano. L'investitura papale: «Tu sei Giorgio» è la parodia non distruttiva che suggerendo la formula canonica «Tu es Petrus» prospetta l'evenienza che in Es avvenga la trasformazione di una discendenza in trasmissione, di un'eredità biologica in successione. Allo scambio di genealogie pare dover subentrare lo scambio di idee. Nel suo lavoro del '42 Linguaggio infantile, afasia e leggi foniche generali, Roman Jakobson accenna fuggevolmente, tra il periodo del balbettio infantile e l'acquisizione della lingua materna, a uno «stadio iniziale del linguaggio». L'osservazione è in realtà rilevante: mentre in principio il bambino può riprodurre altrettanto bene qualsiasi articolazione, «che sia tedesca, caucasica, o di quelle che si trovano solo nelle lingue africane»24, più avanti si restringe a usare i suoni selezionati che distinguono la sua lingua da tutte le altre. E in mezzo? In mezzo si colloca un tempo in cui «il bambino possiede solo i suoni che sono comuni a tutte le lingue del mondo»25 , fase dunque in cui il soggetto, come un cittadino del mondo, parla una lingua universale. Questo ci fa comprendere meglio una caratteristica del24

l'interessamento che il sogno manifesta per il linguaggio. Si potrebbe pensare che il sogno, soddisfazione regressiva di desideri, vada indietro a riprovare il gusto del balbettio infantile. Oppure che privilegi il momento progressivo della acquisizione del proprio linguaggio. Come abbiamo visto può verificarsi in effetti che il sogno contenga interiezioni (Ugh) o gesti vocali (i "versi"), come è possibile anche che ripercorra tutte le tappe della formazione linguistica del parlante. Così una mia paziente che da piccola, per una educazione particolarmente rigida, saltò tutte le "fasi -pre" e incominciò improvvisamente a parlare in modo perfettamente corretto senza aver mai balbettato prima, in una serie continua di sogni recupera, o meglio "inventa", dapprima la manipolazione delle feci, poi l'impasto di cibo e di suoni nella parola pappa. La parola ditta, riferita a una società di nome Sidda, viene infine a siglare la soddisfazione di ritrovare come propria, non più imposta dall'esterno, la pronuncia distinta delle dentali che opponendosi alle labiali di papà e mamma permettono anche al soggetto di individuarsi e di esistere "in società". E sono convinto che alla parola ditta il sogno lega il senso doppio di un dittato non più scisso dal lavorio interno delle associazioni e del fantasticare, l'acq�isizione di,un modo di significare nutrito di ciò che «ditta dentro». Il sogno tratta il soggetto come un fonema. Lo individua e lo distingue, tramite il processo analitico, come i suoni della lingua emergono dal gioco dei tratti distintivi. Ma il sogno è una metafonematica. Ama l'universale. E trae quindi il soggetto anche dalla possibilità di individuarsi nel sociale, nel sistema di una lingua, integrandosi o accedendo al simbolico come patria. Lo immette, facendo valere il parallelismo del mondo dei suoni con il sistema dei colori e con il significato della gradazione luminosa, nell'universale della evoluzione naturale. 25

La variazione onirica produce mutazioni. «Ho sognato il papa» vuole anche dire alla lettera: ho sognato il balbettio infantile, pa-pa. Vuol dire guardare al balbettio infantile da una posizione diversa, guardarlo dall'alto di una consapevolezza. L'inconscio non è strutturato come un linguaggio ma ha una posizione metalinguistica, abbraccia il linguaggio, possiede l'intelligenza globale del fenomeno linguistico. Mentre sembra ingannevolmente celebrare un lacaniano "accesso al simbolico" coronato dall'instaurazione del nome proprio (tu sei Giorgio), il sogno mette in scena la fuga dal consistere come individuo parlante davanti al papà allo stato amorfo della chiara di uovo. «Ho sognato il papa», grazie a un semplice spostamento d'accento, muta la solennità dell'investitura simbolica, passando in rassegna tutte le varianti fonetiche possibili di papa, nel semplice incollamento al balbettio infantile che suona: «Ho sognato la pappa» a indicare che il sognatore non è pronto a sacrificare l'investimento libidico incestuoso all'interno della famiglia. Tra i due estremi, la serietà di un'investitura di fine analisi e il rivelare beffardo all'analista di essere ancora al punto di prima, la mutazione in gioco non è psicologica. Si tratta di spostarsi da ciò che del suo inconscio appartiene a suo padre. E il processo che in questo sogno si svolge è dunque fondamentale: uno scambio di genealogia familiare con genealogia linguistica, lo stemma di famiglia con la glottogonia. Il dito portato alla bocca dopo essere stato intinto nella sostanza seminale indica la sede di una trasformazione. Quasi come in una scissione cellulare, la divisione del nome e del godimento del padre avviene nella forma di una spartizione delle consonanti all'interno dell'universo linguistico. La gradazione interviene a moderare la pericolosità del confronto del figlio col padre. E come la "solidità" suscitata dalla mano materna in una sorta di boccaccesca "resurrezione della carne" è arrestata ai va26

lori medi di una consistenza molle, così anche la g iniziale del nome del figlio Giorgio non è irrigidita fino a eguagliare la durezza della iniziale del nome paterno: Guido. Lo scivolamento all'indietro del punto di articolazione delle consonanti labiali (papa) e dentali (manna) viene a depositarsi nella zona mediana delle palatali di Giorgio, gesuita, genealogie. L'arretramento sonoro interpreta e modera la regressione lfl)idica. Il sogno trasporta l'universale pre-edipico, oltre la scacchiera edipica, in una "invenzione" post-edipica. In questo modo si fa tutore per il soggetto di una possibilità di essere «assoluta e non respettiva». Ho messo in luce in altri studi come il concetto fondamentale per intendere bene il lavoro del sogno non è quello di interpretazione ma quello di teoria e ho mostrato anche come la teoria del sogno sia in qualche modo solidale con la teoria sessuale. Sono due modalità sostanziali della Teoria. Melanie Klein, allo stesso modo che si è ingegnata a rovinare le teorie sessuali dei bambini (concretamente ai suoi figli piccoli) per mettere in primo piano l'istanza isterica del primato e dell'esclusivismo della penetrazione, fonte dell'inevitabile limitatezza dell'orizzonte intellettuale del soggetto, ha posto anche la sua ambizione nel ridurre al minimo, possibilmente a zero, la dimensione pre-edipica. Anche il complesso edipico penetra per lei fin nel ventre della madre. In realtà, questo fatto che il sogno non cada completamente sotto l'autorità dei due genitori nella fase edipica, ma sia in parte collegato alla fase pre-edipica che lo riporta a un genitore, ci conduce a pensare che il sogno è di un'altra giurisdizione. Questa giurisdizione è per me quella morfologica della unità formale e strutturale che portò Goethe a ipotizzare la pianta o l'animale primigenio e che in Darwin è il pensiero costante e informatore dell'Uno. Tutti però sono capaci di ripetere, con Lacan, formule 27

com· e: «c'è dell'uno». Più difficile è confrontarsi con un pensiero morfologico che passa attraverso l'ermetismo, lo gnosticismo, il neoplatonismo. O ammettere una forma di innatismo, che il sogno de-celerebbe nelle leggi strutturali del linguaggio, per il quale la mente dell'uomo reca impresso il timbro della "gradazione" che conduce, al di là della generazione di tutto il mondo dall'amore di una coppia, alla origine anche dell'uomo da Un solo antecessore. La gradazione scopre nella differenza tra la consonante palatale di Giorgio (J) e la velare di Guido (G) la differenza di luminosità, chiaro o cupo, che nei sogni traumatici annuncia direttamente, con l'intensificarsi o l'abbassarsi della luce, il manifestarsi della relazione di discendenza da Un padre. Il breve tratto di evoluzione con cui il sogno ha a che fare è il tratto entro il quale si sposta, nella cavità orale, il punto di articolazione dei suoni del linguaggio. In quel breve percorso, attraverso il gioco delle consonanti anteriori e posteriori, avviene la definizione del rapporto del soggetto alla sopravvivenza. La lotta per l'esistenza trova espressione nella lotta delle consonanti. Il rapporto tra due punti di articolazione ripete il rapporto tra i due culmini della sessualità umana e, nell'oscillazione, si svolge la regolazione necessaria del rapporto al godimento del padre. In questo processo il sogno interpreta, fonologicamente, l'arte segreta della natura di tradurre il flusso antichissimo della discendenza da un progenitore in patterns e schemi formali posti al servizio della vita amorosa del soggetto. Due sogni di due diversi pazienti mostrano in un modo a mio avviso efficacissimo le ricchissime implicazioni del trattamento onirico del punto di articolazione delle consonanti. Mentre sono in corso gli accertamenti per una tumefazione che avverte in gola, un paziente che si sta preparando a terminare la sua analisi fa il sogno seguente: 28

Un medico gli fa una iniezione in bocca, sulla gengiva superiore. Poi un'altra in fondo al palato. Inietta un liquido di contrasto (cobalto) che farà apparire le metastasi. Dovrà formarsi un collare bluastro sul collo. Dopo di ciò, egli dovrà andar via in carrozza. Nel sogno si ha però lo spostamento da un vano a un altro. Da un vano retrostante a uno anteriore dove prenderà posto un'altezza reale. Il collare non si forma e lui lo fa presente al medico. Si manifesta invece sotto il piede, ma sarà da attribuire alla scarpa. Il medico conta soldi col suo segretario ed è esperto in burocrazia. C'è da chiedersi come sia possibile che preoccupazioni tanto serie, tanto si vorrebbe dire concrete, possano lasciare alla mente l'agio di sognare con tanta accuratezza lo spostamento del punto di articolazione delle consonanti. E in effetti di questo si tratta. L'evento macroscopico esterno metaforizza il fatto di linguaggio in cui si incarna e quasi si materializza il pensiero del sogno. La possibile operazione, l'asportazione della massa tumorale, diventa simbolo della risalita di un ingorgo di suoni dal "fondo della gola" verso l'apertura anteriore della bocca. Le due iniezioni iniziali s' embrano quasi voler mostrare a un ipotetico spettatore i due punti, in ordine di importanza, tra cui si volge lo spostamento. Con una minuziosità persino esagerata viene anche fatto vedere in quale direzione dovrà avvenire il cambiamento di luogo: da un "vano" posteriore a un "vano" anteriore. Alla minuziosità descrittiva della fonetica articolatoria si aggiungono le sottigliezze della fonetica dei tratti distintivi. E la "diffusione" che interessa pare essere, più che non quella delle metastasi, quella dei fonemi non compatti, messi, a "contrasto", per usare un altro termine del sogno, con i fonemi compatti, come /k/ e /g/, carichi di un massimo di energia che li rende duri ed esplosivi. Il rigoroso impianto fonematico del sogno non deve 29

d'altra parte trarre in inganno circa le sue finalità. Esiste un contenuto della forma. Il paziente ha da sempre una voce velata, inceppata da un lieve accenno di balbuzie, e il rigonfiamento tumorale non ha fatto altro che evidenziare una strozzatura originaria, traumatica. Il suo sforzo è di far risalire la voce dal fondo, la cloaca, dove si accumulano i suoni duri, aspri, della k (cobalto, carrozza, collare) alla zona frontale in cui si struttura dapprima il linguaggio infantile. Un'espressione fortemente evidenziata nel sogno come "altezza reale" mostra come prende posto, in avanti, nel vano a ciò preparato, il suono stridulo della affricata dentale (la z) che pronunciata in modo anomalo nel luogo d'origine del paziente rispetto alla lingua nazionale, e sempre odiata da lui per questo nesso territoriale, viene ad assumere stranamente il valore rovesciato di un potenziale di sovranità. Quello che era stato il contrassegno avversato del titolo paterno a un potere violento e arbitrario come quello del «dio locale» di Mosè e il monoteismo diviene un tratto appartenente a quella forma universale del discorrere, la «forma locutionis» che per Dante conserva la traccia della lingua di Adamo e che il soggetto parlante può illudersi di incontrare nell'amore ritrovato per il proprio "dialetto". Anche "piede" esprime il gioco delle labio-dentali (p, d), mentre il contenitore "scarpa" riassume entrambe le posizioni, posteriore e anteriore, con la costrizione che fa apparire il livido. Il collare che a causa della scarpa appare sul piede si lega, nei ricordi, all'altro collare che certi medici strinsero, in passato, attorno al collo del paziente per sottoporlo a frivole sperimentazioni sulla sua sfera genitale. Ma è in relazione alla dipendenza materna che si gioca il contrasto decisivo tra il rischio di andar via in "carrozza" funebre o la possibilità di raggiungere non l'"altezza 30

reale" di sua maestà il bambino, ma la reale altezza di un soggetto emancipato. La violenza delle /k/ esce dai denti e dalle scarpe che lo portano a togliersi dall'incollamento al seno che rischiava di soffocarlo. Il secondo sogno sembra esprimere un movimento contrario, dal davanti all'indietro. È di una donna. Io andavo ad alcune messe con qualcuno. C'era anche mia madre. Poi tutti andavano a fare la comunione. Io decidevo di andare a confessarmi. Raccontavo il mio problema: alternanza tra l'idea di essere una moglie e quella di andare in convento per essere una monaca. Lui, il confessore, mi diceva, con espressioni molto intelligenti, che ciascuno aveva la sua santità, e che per me andava bene così. Gli chiedevo il nome e mi rispondeva di chiamarsi padre Paolo, padre Paolo Marini. Allora chiedevo a mio marito chi potesse essere. Mio marito aveva un librettino con tutti i nomi dei confessori. C'era scritto che si chiamava Jean Paul, era sardo e assicurato. Mio marito diceva: «Se è assicurato sarà di quelli che fanno i preti per trovare un posto. C'è poco da fidarsi». Guardava all'inizio, c'era una specie di legenda o glossario e c'era scritto che assicurato voleva dire: carica chimidaniense, legata soprattutto all'Università Cattolica. Pensavo che allora era bravo. Uscivo e vedevo che avevano tolto il campanile di S. Angelo e al posto di questo era emerso, probabilmente era sotto, un piccolissimo campanile gotico che sovrastava di pochissimo la chiesa e vedevo che c'era la statua della Madonna in cui si era evidenziato il seno che era diventato enorme. E mio marito commentava: Anche dietro. L'insistenza addirittura martellante di una consonante, la occlusiva velare /k/ ci segnala che anche questo è uno di 31

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