Il contrasto si è accentuato nella stagione neodialettale, quando il poeta si è trovato a scrivere in absentia del mondo popolare, travolto dalla modernizzazione, diversamente da quanto accadeva per il dialettale primonovecentesco, che continuava a operare avendo sullo sfondo, benché già avviata al tramonto, quella fervida realtà, con il suo repertorio di tipi, situazioni, materiali linguistici. Ad accentuare l'esperienza di isolamento del poeta dialettale, che ha spesso la sensazione di scrivere in un ostile day after, testimone sopravvissuto e accerchiato dalle forze dell'omologazione linguistica e culturale, contribuisce oggi il confronto con un pubblico invariabilmente alloglotto. La poesia neodialettale tende così a proiettarsi in uno spazio puramente mentale. Nessun autore può più contare sulla complicità di un uditorio. La sua parola si limita a venire sillabata interiormente. Ciò comporta una modificazione profonda della categoria dell'oralità, che abbiamo visto essere una sorta di condizione trascendentale del dialetto. Con la stagione neodialettale si assiste infatti a una sua riduzione al grado zero, trasparente allusione alla situazione paradossale in cui opera oggi il poeta. Ma l'oralità non uscirà del tutto di scena. Si vedrà invece come semplicemente svolga altrove la sua funzione. A tale proposito va sottolineata la diversa modalità di utilizzazione dei materiali dialettali nella prima metà del secolo e oggi. Se fino a Pasolini l'autore esprimeva tendenzialmente un atteggiamento simpatetico di adesione e partecipazione all'universo popolare, con la stagione neodialettale si punta invece al contrasto. La poesia contemporanea gioca sugli effetti di spaesamento ottenuti trasferendo una cultura scritta e aggiornata entro un orizzonte culturale esclusivamente orale: si veda per tutti il caso del romagnolo Tolmino Baldassari, che immette Trakl e Espriu nel remoto dialetto rurale di Castiglione di Cervia. Detto diversamente: la scommessa del dialettale dei no45
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