Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

Che volete! l'onda della prima impressione si risvegliò, si raddrizzò tosto nell'animo nostro, e così forte e violenta da superare e travolgere seco tutto l'argine critico che avevamo innalzato per contenerla. L'autore milanese coglieva con straordinaria lucidità uno dei caratteri di fondo dell'opera dialettale di Pascarella, tutta giocata sul registro del parlato e dunque pienamente valorizzata solo dalla recitazione e dalla drammatizzazione. Nel successo di Pascarella, che rappre_ sentò uno dei primi casi della nascente industria editoriale, giocarono un ruolo non trascurabile le sue straordinarie attitudini di attore, che nella vivacità dell'esecuzione riusciva a dissimulare, anche a un orecchio scaltrito come quello di Dossi, le innegabili debolezze della propria poesia. Il bisogno di integrare il testo con la recitazione si ritrova negli stessi anni anche in altri dialettali, che, come Pascarella, portarono i propri versi in molti teatri italiani 1°. Ancora nel nostro secolo le caratteristiche storiche e culturali del codice impiegato, tendono a riproporre per la poesia in dialetto un modello di ricezione in cui l'oralità riaffiora irriducibilmente, benché non manchino esperienze poetiche in cui tale aspetto risulta meno evidente: si pensi ai casi di Giotti e Marin o, sul piano critico, alla distinzione di Pancrazi tra «dialettale» e «in dialetto», figurante in uno scritto proprio sul poeta triestino11 . Sappiamo che lungo tutta la tradizione letteraria la parola dialettale ha perentoriamente richiamato la voce che la esegua. Il rinvio a un contenuto fonico-uditivo si è mostrato imprescindibile, poiché in dialetto quanto è scritto fu prima detto. Mentre nella poesia in lingua ciò che l'occhio percepisce nella grafia rinvia direttamente a un'immagine mentale, nella poesia in dialetto è il tramite sonoro ad assumere un peso rilevante. Ciò ha comportato per la poesia in dialetto l'operare en43

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