Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

di reintegrare sulla pagina scritta i diritti della voce e di guidarne il cammino. Scalando di qualche anno, un altro episodio significativo che dimostra l'importanza dell'esecuzione orale per la poesia dialettale, come vedremo, almeno fino alla metà del nostro secolo, riguarda Cesare Pascarella. Le sue doti di dicitore non furono inferiori a quelle di Tessa ed ebbero anzi ben più clamorose opportunità di esibizione pubblica. Carlo Dossi poté ascoltare il poeta romanesco nel 1886. Delle cose sue (non sappiamo se di quelle degli altri) Cesare Pascarella è meraviglioso dicitore. Quattordici versi, pronunciati da lui, acquistano la importanza di un poema. Senza un'esagerazione mai della voce - ché Pascarella dice, non recita - né del gesto, egli distribuisce così sapienti luci ed ombre in ciò che racconta, che l'uditore a poco a poco si trova, per dir così, assorbito nelle sue composizioni, esemplari perfetti di quell'arte che colle lagrime agli occhi sorride, qual è l'umorismo. E una di tali impressioni sovranamente forti, noi ebbimo quando Cesare Pascarella, in un crocchio di amici di cui eravamo parte, disse i trecentocinquanta versi de' 25 sonetti, o, più esattamente del sonetto unico eh'egli intitola Villa Gloria . 9 Ma a una successiva lettura, che il Dossi conduce in privato, il poemetto si rivela deludente. Lo scrittore, perplesso, decide di sottoporsi di nuovo all'esperienza della recitazione di Pascarella. 42 Ma quel dì stesso tornammo dai nostri amici, dove avevamo la prima volta udito i venticinque sonetti. Pascarella già vi era, e lo si pregava che li ridicesse. Sempre cortese, annuì. E cominciò a pronunciarli.

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