Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

corgo però che si tratta di un materiale inadatto, diverso dalla terra, potrebbe essere sabbia ma più bianca, qualcosa di troppo fine e prezioso, come se fosse sale o zucchero. Viste le mie difficoltà, Lizzi ci butta un maglione color vino, ma non serve, anche questo assorbe nuovo materiale per cui verso, verso e lo spazio non si riempie mai. Passo allora in un'altra stanza e qui incontro il capo portiere in divisa che mi squadra con un atteggiamento violento, arrogante, col sigaro in bocca. Costui, che mi ricorda, anche per la voce, mio padre, mi fa una smorfia. Rimango sconvolta, sconvolta che mi si sia fatto il verso. Torno nella stanza di prima come imbambolata. Il giorno prima una collega si era sfogata con lei per l'offesa subita da un altro collega nel corso di un litigio in cui si era intromessa: le aveva fatto il verso. La sognatrice, -che da piccola rovesciava continuamente l'acqua e il padre le gridava «cretina!», pensa che in quel versare, versare per riempire un buco incolmabile vi sia una metafora della sua analisi in cui lei versa, versa parole. Ma «la parola è il racconto di una storia del trauma», come dice Ferenczi nel Diario da poco pubblicato22, e l'analisi vocale del verso diventa il lavorio per otturare il "bucone" lasciato da una violenza primordiale, simile alla falla aperta dal gnam nella parola legnami. Nello scambio che è proprio del trauma, che anche quando passa inavvertito ha come referente lo stupro attraverso il rapporto che il soggetto intrattiene con il godimento del padre, il rantolo dello stupratore diventa il verso fatto alla vittima che masochisticamente si fa carico di essere all'origine dello stupro (autostrangolamento traumatico) mentre si affanna a riempire un buco incolmabile. Ma nonostante la disperazione di questo lavorio è interessante notare la natura dei materiali impiegati. Sale e 21

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