Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

sino a quando esso non trabocchi, insostenibile . e quando poi gli è aviso d'esser solo, con gr ido e t ur l i apre l a por ta a l duolo (XXIIl,124). Nel corso della lunga follia, Orlando usa di rado la parola, due volte limitandosi a un secco comando («Camina!» [XXIX,70]; «Aspetta!» [XXX,11]), una terza per proporre l'insulso baratto tra un ronzino vivo e una giumenta morta. Il resto del suo errare è silenzioso, chiuso in se stesso, in un torpido, cupo, mutismo. Ma seguire volta a volta le funzioni che, nel Furioso, assolvono le voci dei suoi personaggi, prolungherebbe oltremisura questo excursus. Qualche altro esempio sarà sufficiente a rilevarne tutta la significativa pregnanza. Nel canto dodici, all'inizio, a Orlando che ricerca disperatamente Angelica, giunge il pianto di «una mestissima donzella» (ottave 4-6), che egli subito identifica con quello dell'amata. Inseguendola, è tratto entro il palazzo di Atlante; e qui la voce della donzella, che grida «aita!», apparirà a Ruggiero quella di Bradamante, a Gradasso, e a ciascun altro cavaliere, quella della propria donna: la voce, diremmo, del desiderio. E si veda come, malgrado la prima apparenza e la finalità del suo dire, il desiderio attraversi un'altra voce, quella che proviene dal mirto in cui è stato trasformato Astolfo da Alcina, quando si è stancata di lui. Ancora una volta Ariosto trasfigura e trasforma i suoi ben noti modelli, il Polidoro dell'Eneide (111,22 e sgg.) e il Pier delle Vigne dantesco (Inferno, XIII,40-42), attenendosi semmai maggiormente - come nota Segre30 -al Filocolo di Boccaccio. L'intento della voce di Astolfo è di stornare Ruggiero dalle seduzioni di Alcina; l'effetto è opposto. Ciò che prende vita nelle sue parole, per dirlo ancora con Momiglia198

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