Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

È un punto, questo della oralità e discorsività del Furioso, che nessuna attenta analisi strutturale potrebbe trascurare, senza tralasciare un nodo importante, forse anzi traente, della «tecnica» che Ariosto dispiega. È facile, anche solo scorrendo il testo del Furioso, scorgere quanta parte in esso vi abbia il discorso diretto, la mimesi, nelle sue varie specificazioni e articolazioni. Non soltanto i suoi personaggi sovente si interpellano e si rispondono in prima persona, ma esprimono «a voce alta» i propri pensieri e le proprie considerazioni (Sacripante), compiono lunghi excursus sul futuro (la maga Melissa), scrivono talvolta lettere (Ruggiero e Bradamante), e, soprattutto, raccontano: raccontano di sé e delle proprie vicende, di eventi dei quali sono venuti a conoscenza, o addirittura narrano vere e proprie «novelle» (di Giocondo, di Adonio). Anche qui Ariosto non inventa niente. Le ingiurie e le disfide, prima di ingaggiare il combattimento, risalgono addirittura all'Iliade, e riappaiono puntualmente in tutta la tradizione della poesia guerriera e cavalleresca, sino all'immediato antecedente dell'Innamorato («Cavallier, tu cerchi rogna: io te la grattarò, ché 'l ti bisogna»: l'Argolia a Feraguto già nel canto primo, ottava 87). Ciò che, in questa come in altre riprese di una tradizione di tòpoi poetici, Ariosto vi aggiunge di proprio è lafrequenza e la coloritura di queste interpellazioni. Bene osserva Momigliano: Il Furioso ha pagine più belle e meno conosciute; per esempio quelle in cui i duelli sono accompagnati da violenti litigi. I battibecchi dell'Orlando hanno una rudezza epica in cui si delinea con fugace potenza la figura del guerriero[...] Di rado l'Ariosto distingue con una sfumatura la psicologia dei due contendenti; ma sempre egli dà l'impressione generica dell'ira virile e guerresca, e lascia nel lettore l'immagine d'un'umanità gagliarda22. 191

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