Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

propria donna, e quanto tale passione gli cagioni di sofferenza, e lo avvicini ad Orlando «in furore e matto»: Non men son fuor di me, che fosse Orlando e non son men di lui di scusa degno (XXX,4). In questo chieder venia, come del resto, in talune formule riduttive delle chiuse dei canti («se grata vi sarà la storia udire» [V,92]; «s'all'altro canto mi verrete a udire» [IX,94]; «...se mi vorrete udire» [IX,83]; «Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo/ vi potria la mia storia esser molesta; I et io la vo' piuttosto differire,/ che v'abbia per lunghezza a fastidire» [XX:111,136]; «Ma le parole mie parervi troppe / potriano ornai, se più se ne dicesse» [XXVIIl,102]; «Ma prima che le corde rallentate/ al canto disugual rendano il suono,/ fia meglio differirlo a un'altra vol ta, / acciò men sia noioso a chi l 'ascol ta» [XXIX,74]; «...più tosto che seguire/ tanto, che v'annoiassi il troppo dire» [XXXIX,86]) ritroviamo, nella reiterata maschera d{ understatement la tonalità che verrà accentuata nelle Satire, il «tono medio», la «medietà colloquiale» di cui scrive Walter Binni nel suo saggio su Le "Lettere" e le "Satire" dell'Ariosto. Non certo, sottolinea Binni, «un Ariosto in veste da camera», secondo la definizione di Benedetto Croce20 , ma, al contrario, la riproposizione, anche nei confronti di se medesimo, di quella costante ironia che tutta avvolge le vicende del Furioso, tutte spostandole e mettendole a fuoco nel sopramondo dell'intelligenza. Un'ironia, del resto, che, per Ariosto, è forma stessa della verità, e, nel riguardo della maschera autobiografica con la quale ama presentarsi nel poema, non è certo disgiunta dalla consapevolezza del valore della propria impresa di scrittura, che trapela, ancora una volta, sotto le righe di quello che abbiamo voluto chiamare understatement: Quel ch'io vi debbo, posso di parole 189

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