Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

Il grido ci appare qui spaesato, destoricizzato (non ricordavo quando, né dove) allo stesso modo dell'offesa non attribuibile ad alcuno di riconoscibile. L'incertezza del rico�oscimento entra in gioco anche a proposito dell'impostura che il ragazzo in sogno imputa alla matrigna immaginando che si sia insinuata in camera sua con l'inganno, «fingendosi un ragazzo come me, vestita di una camicina che le cadeva sul petto liscia liscia, quasi che sotto non avesse forme di donna»13 • E irriconoscibile è anche la voce di Nunziata allorquando nella notte in cui dà alla luce un figlio geme e urla in modo inumano. «Ma di notte tardi (doveva essere circa l'una), mi riscosse, dalla stanzetta di Nunz, un gemito cupo, più bestiale che umano; interrotto da urla di un'angoscia tale, mai prima udita, che, ancora mezzo addormentato, io d'impeto corsi alla stanzetta, e ne spalancai l'uscio.»14 Queste crude emergenze di suoni disordinati in cui la funzione del linguaggio di separare e collocare le persone, le azioni, gli oggetti e i sessi sembra sprofondare, mentre torna a galla l'Offesa verso «quel prepotente mistero che strazia» una donna, fanno da prologo alla crudele anatomia della voce paterna che alla fine scioglie scandalosamente i misteri e gli enigmi del romanzo. «La sua voce, ch'io riconobbi subito con una scossa, veniva dalle più basse, nascoste propaggini della montagnola, così che pareva salisse dal fondo del precipizio marino. Simile illusione dava, alla scena, la solennità inquieta dei sogni; ma la cosa più strana, per me, era questa, anzitutto: che lui cantasse. Non lo si udiva mai cantare, per solito, e la sua voce, di fatto, non era bella (era, si può dire, l'unica bruttezza in lui): di un suono acido, quasi femmineo, disarmonico.»15 Pur uscendo dai recessi di una montagna, dal fondo di un precipizio, la voce ora si è fatta riconoscibile: è quella del padre, di Wilhelm Gerace, ma a costituirne la grana 15

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