Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

sonaggio può sicuramente considerarsi il primo passo verso il divorzio definitivo fra posture e voci sceniche. Così che, ad esempio, in Not I (1972) la voce sarà patrimonio di Mouth («faintly lit from dose-up and below») mentre la postura scenica sarà tutta di Auditor («tall standing figure, sex undeterminable, enveloped from head to foot in loose black djellaba, with hood, fully faintly lit»9); oppure, prim'ancora, nel dramma televisivo Eh Joe (1965), il volto di Joe, inseguito dalla camera, sarà il bersaglio del1'aggressione memoriale di una voce femminile; fino a giungere, per limitarci a questi esempi, a What Where (1983), dove il gioco scacchistico di Bam, Bem, Bim, Bom, con le loro telegrafiche battute, verrà guidato dalla voce di Bam, a sua volta fisicamente collocata in scena. È innegabile, allora, che in tale divorzio assumano particolare importanza i testi per radio di Samuel Beckett, significativamente collocati fra la prima metà degli anni '50 e i primi anni '60 (l'ultimo lavoro radiofonico, se si eccettua l'adattamento inglese del testo di Robert Pinget La manivelle, è Words and Music del 1962). Va innanzitutto detto che, se da un lato i lavori radiofonici sembrerebbero situarsi a metà strada fra la produzione teatrale e quella narrativa, in quanto come quest'ultima sorretti da una vocalità disincarnata, dall'altro il successivo teatro beckettiano appare debitore di più di una risoluzione alle caratteristiche del mezzo radiofonico, e giusto per quanto di allucinazione acustica socialmente normalizzata sussiste nelle stesse strategie della radio. A rigor di termini, anche la comunicazione radiofonica soggiace a quell'«inerzia dialettica» che Jacques Lacan rivelava nel delirio paranoico10; la sua significazione solo parzialmente rimanda ad un'altra significazione, tendendo piuttosto a ritornare su se stessa quando l'ascoltatore, piuttosto che assorbirla (e come potrebbe?), l'intreccia con le proprie e dalle proprie, poi, la fa esterna, cioè la forclude. Che Samuel Beckett si sia reso conto di quanto la radio 110

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