Il piccolo Hans - anno XVII - n. 68 - inverno 1990-1991

Le voci della radio È indubbio che l'opera di Samuel Beckett appare, nel suo sforzo mirabilmente progressivo, direzionata verso l'irreparabile divorzio fra le posture situazionali dei personaggi (precipitato estremo dell'estetica realista su cui ha agito, sedimentando, l'iperrealismo joyciano) e la voce data a questi ultimi, residuo di uno stream of consciousness via via sempre più lacerato da una coerente intromissione autoriale. Il paradosso de L'Jnnommable, voce che racconta personaggi e da personaggi raccontata, voce d'autore insomma, nel suo farsi autore e voce, costituisce da questo punto di vista il luogo centrale di tale progressione, al di là del quale il divorzio diverrà strappo definitivo così come al di qua del suo magma verbale si situa la pallida schiera di personaggi che prendono il via da Belacqua Suaha. Se L'Innommable è dunque il bilico realizzato dalle forze propulsive che dall'autore menano al personaggio e nel personaggio tradiscono l'autore, se il suo flusso è innanzitutto una teoria di percezioni, è anche vero che nei personaggi beckettiani ancora candidamente nommables le voci (pensieri e volizioni) si proiettano, quanto meno da Watt in poi, all'esterno delle posture situazionali, in un 105

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