Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

Il motivo della «vitalità» non è soltanto un episodio isolato della biografia intellettuale del Croce, un prurito senile. Si tratta-come egli stesso amava dire-di un «punto bello e difficile di filosofia» che, con insistenza, ricorre nelle ultime sue riflessioni, fino a che - promosso a «categoria»-insidia e sconvolge l'intero sistema dei «distinti» faticosamente composto nella Filosofia dello Spirito. Ma cos'è mai la «vitalità»? È un fluido tellurico, un elisir del diavolo, la segreta anima del mondo? Croce la definisce con semplicità: «per categoria della Vitalità è da intendere quella in cui l'individuo soddisfa le proprie volizioni e brame di benessere individuale»3 • Potrebbe dunque essere la forza che genera la volontà della sopravvivenza: una forza «selvatica» e «verde» che continuamente trabocca dalle maglie della moralità con cui l'uomo civilizzato tenta invano di imbrigliarla. Descrivendo l'effetto della «vitalità», Croce adopera spesso tinte fosche: «terribile forza questa, per sé affatto amorale, della vitalità che genera e asservisce e divora gli individui, che è gioia ed è dolore, che è epopea ed è tragedia, che è riso ed è pianto, che fa che l'uomo ora si senta pari a un Dio, ora miserabile e vile». L'arte, il pensiero, la morale, cercano in qualche modo di domare questa forza, educandola, trasfigurandola nell'opera di poesia, nella giusta azione, nel capolavoro dell'ingegno. Ma, talvolta, essa riesce a vincere gli argini della civiltà, facendo straripare i suoi crudi impulsi primordiali che «rimmergono, di volta in volta, l'umanità nella barbarie», per poi «far sorgere in lei nuove condizioni e nuove premesse»4 • In quegli ultimi anni, proprio mentre si avvicinava alla morte, Croce si piegava a osservare la forza della vita che è capace di travolgere, in un soffio, il più presuntuoso castello degli uomini, di mescolare con improvvisi moti le regole apparecchiate durante secoli di pazienza del tempo e della ragione. 98

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