Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

Il piccolo Hans rivista di analisi .materialistica 67 autunno 1990 Virginia Finzi Ghisi 5 Lo statuto di un soggetto straniero Sergio Finzi 7 Conoscenza e penetrazione Virginia Finzi Ghisi 15 Il luogo della fobia e la figura dell'ebreo straniero Maurizia Calusio 22 Un enorme esperimento d'interpretazione Osip Mandel'stam 33 Verso il Discorso su Dante Ermanno Krumm 51 La poesia metafisica del Novecento Rodolfo Montuoro 95 Il ripensamento. Croce e la guerra Wilfred Rupert Bion 135 Psichiatria in tempo di crisi Livia Nemes 159 Freud e Ferenczi Mario Spinella 172 Diario di lavoro Milo De Angelis 188 Poesie Cesare Greppi 192 Cinque poesie del giardino Angelo Maugeri 195 Volare a Palermo STANZE Virginia Finzi Ghisi 201 Il bambino straniero Frances Tustin 203 Riflessioni sull'autismo NOTES MAGICO Romolo Rossi 227 Memoria sensoriale nella ricerca dell'identità

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi; Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Moreno Manghi, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Wilfred Rupert Bion, Maurizia Calusio, Milo De Angelis, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Cesare Greppi, Ermanno Krumm, Osip Mandel'stam, Moreno Manghi, Angelo Maugeri, Rodolfo Montuoro, Livia Nemes, Mario Spinella, Frances Tustin, Italo Viola. redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, teL (02) 2043941 abbonamento annuo 1990 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media Presse, Via Nino· Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Tipolitografia Meina, Carugate (Milano)

Lo statuto di un soggetto straniero « Vostra Signoria conosce la propria innocenza, ma il mondo è pettegolo, e molti uomini onesti hanno avuto la sfortuna di passare come padri di bambini che essi non avevano generato...» Il «padre del romanzo inglese», come Walter Scott definì Fielding, inizia il suo romanzo Tom Jones con la nascita di un trovatello e con alcune considerazioni sul bastardo. Apro così un nuovo capitolo del mio lavoro di cui «Il luogo della fobia e la figura dell'ebreo straniero» rappresenta il luogo di nascita e il soggetto. Se il soggetto nasce in quello che abbiamo chiamato in questi anni «il luogo della fobia», chi sono i suoi genitori? E se Fielding, dopo aver presentato la nascita di un trovatello, si trova a parlare di plagio, quale rapporto esiste tra le possibilità del soggetto che si struttura nel luogo della fobia e la creatività? Queste domande troveranno alcune risposte in uno dei prossimi numeri, ma già adesso, l'inquietante figura dell'«ebreo straniero» si affaccia a porci dei problemi sull'etica, sulla tecnica, sulla paternità e, infine, sull'arte. Allora è la stessa psicoanalisi che si sposta sul terreno dell'incerto (vedremo in seguito di che incerto si tratta) e si tro5

va, nel campo per esempio della poesia, o del cinema, a non avere con essi analogie, quelle poste da Freud tra inconscio e poesia, o tra sogno e montaggio fotografico, ma ad essere, per necessità di esito, una psicoanalisi in terra straniera. Virginia Finzi Ghisi 6

Conoscenza e penetrazione Da tempo si discute sullo statuto epistemologico della psicoanalisi: se sia o non sia una scienza, se rientri tra le scienze umane o le scienze della natura, se possa essere collegata con le scienze più formali della matematica, della logica, o del linguaggio'''. Sono convinto che nel campo della psicoanalisi esistano, evitando però di confrontarsi, diverse teorie della conoscenza che hanno il loro fondamento in una differente impostazione nei riguardi di quella che Freud chiamava la « teoria sessuale». Freud usa il termine «teoria» in due sensi forti e ben precisi. Il primo riguarda la «teoria del sogno», il secondo le « teorie sessuali dei bambini». Riguardo ai sogni Freud distingue due movimenti di pensiero, quello che dal testo del sogno manifesto si dirige verso i pensieri latenti e quello invece che, procedendo all'inverso, ripercorre il lavoro del sogno nel passaggio dal contenuto latente a quello manifesto. Il primo proces- ,·, Testo della relazione presentata al congresso su «Il posto di Hermann nella teoria psicoanalitica contemporanea» tenuto a Budapest nei giorni 11-12 novembre 1989. 7

so si chiama interpretazione dei sogni, e va in un certo senso in profondità, il secondo si chiama teoria dei sogni e muove invece verso la superficie. Le teorie sessuali dei bambini (attribuzione del pene a ogni individuo dei due sessi, concezione anale del parto, una lite al posto del coito) sono sì, come si esprime Freud, delle teorie «errate», ma nello stesso tempo contengono tanta «verità» da indurre lo stesso Freud a collegarle, esempli di pensiero non inibito, agli sforzi più arditi dell'umanità di comprendere i misteri dell'universo. La teoria sessuale è inanellata a una teoria del cielo. Ci troviamo anche qui di fronte a un movimento che, nell'ignoranza della vagina, si indirizza verso l'esterno, pone una sorta di barriera di verginità mentale a condizione della caduta delle barriere che ostacolano l'esplorazione dello spazio (le «sfere celesti», penetrate e rotte da Giordano Bruno), vale a dire la possibilità di pensare. L'istinto di ricerca di Imre Hermann ci sembra trovare qui il suo valore rispetto al modo di procedere incarnato nel «penetrating eye» di Melanie Klein. Due concezioni della psicoanalisi vengono così a precisarsi intorno a un nodo che indicheremo più avanti. La concezione dominante è quella apparentemente più logica e più ragionevole. Essa coincide con l'orientamento di Melanie Klein che, in base a presupposti senza riscontro psicoanalitico ma puramente sessuologici, prende le mosse dalla negazione dell'ignoranza infantile della vagina e dalla distruzione programmatica di teorie sessuali così dichiaratamente false, in modo da inserire nella mentalità di un individuo, il più precocemente possibile, un corretto intendimento della sua funzione sessuale. Su questo programma di genitalizzazione, Melanie Klein appoggia poi l'ipotesi dell'esistenza nell'essere umano di una specifica pulsione epistemofila, intendendo così costituire una giustificazione spontaneistica alla pratica violenta di imporre al paziente (come prote8

stò il piccolo Richard) di «andare sotto la superficie». Potrei mettere invece la nostra idea della conoscenza psicoanalitica, come nasce dai contributi di Virginia Finzi Ghisi e miei, sotto il segno delle due forme di teoria di cui ho parlato prima. L'esercizio della teoria del sogno ci ha permesso di scoprire alla superficie dei sogni, nel loro contenuto manifesto, il disegnarsi di piante, di mappe, caratterizzate dai contorni (silhouette) e da una barriera interna, che si sono per noi ricollegate da un lato alla «pianta del Dazio» del caso del piccolo Hans di Freud, e dall'altro all'importanza strutturale, non applicativa, del disegno. Questo arabesco formale dei sogni ha precisato il suo significato facendoci scoprire l'assoluta centralità di qualcosa che veniva considerato per lo più solo a livello di sintomi del tutto particolari: la fobia. Che la fobia è un luogo è la scoperta cui Virginia Finzi Ghisi è pervenuta e che le ha permesso di definire questo luogo, il «luogo della fobia» come la prima rappresentazione esterna del!'apparato psichico. Hans Graf ha fornito l'occasione, con la sua meditazione nella loggetta davanti alla barriera del Dazio, di individuare insieme- lo schema di un apparato psichico esteso, diviso in istanze separate, e l'accesso a una tecnica di spartizione, di condivisione, del cognome paterno attraverso la manipolazione dei due disegni, più grande e più piccolo, di una giraffa (Giraffe - Graf). Questo risultato si materializza mediante una serie di semplici e precise operazioni: domesticazione dell'animale (che nella psicosi mantiene invece una disposizione selvaggia e divorante), distinzione nell'ambito naturale di un'opposizione fondamentale di animato e inanimato (opposizione che fa difetto nella perversione che si applìca a disanimare l'animato e ad animare l'inanimato, vale a dire a provocare nell'altro la morte o la follia), valorizzazione infine di tecniche artigianali (quella dell'idraulico 9

per Hans ma anche quella del fabbro, del falegname, del tessitore) applicate a restaurare le teorie sessuali minacciate di crollo, a medicare la credenza infantile vulnerata. Di qui nasce la nostra nozione di «protesi» che permette di cogliere in un'analisi l'importanza delle tecniche (ogni tecnica è poi in rapporto con la tecnica amorosa del padre) e la funzione dei residui. La barriera in cui consiste essenzialmente il luogo della fobia si rivela così come una barriera molle, operabile, manipolabile. Essa funge prima di tutto da argine di contro all'insistere nella vita psichica di una rappresentazione violentemente oscena dell'amore dei genitori (l'«Amore che precede» di cui parla Giordano Bruno negli Eroici furori) e nello stesso tempo come fondazione di una scienza naturale che è resa possibile solo dal sostenere, come avvenne per la prima volta a Darwin, senza veli religiosi e morali, la tremenda pressione generativa della natura vivente. In ogni individuo la psicoanalisi ci riconduce non tanto a un'oscura memoria della vita pre-natale quanto alla stessa condizione di un meccanismo che ha a che fare con il propagarsi di un godimento illimitato («la pressione è sempre pronta, mille semi sparsi ovunque, un milione di cunei percuotono il volto della natura» di Darwin). Esiste un «fondamento psicotico della nevrosi» (Virginia Pinzi Ghisi) che ogni soggetto è chiamato in ogni caso a trasformare. L'equilibrio psichico è un risultato, non un presupposto e lo psicotico, per non aver avuto iscrizione del luogo della fobia, è colui che discende dal godimento del padre. Ciò che rende così intrattabile la psicosi è il fatto che lo psicotico non è escluso dal godimento del padre se non da quel sistema coerentissimo di idee e di pensieri che diciamo deliranti e cui non manca che il buon senso delle nostre cure per spingerli a realizzarsi. Penso che un'uscita della psicoanalisi dall'impasse epistemologica in cui si trova non sia prevedibile se non al 10

patto di affrontare una radicale critica delle posizioni di pensiero e di metodo di Melanie Klein. Sotto il suo impulso il sapere psicoanalitico ha accentuato sempre più la propria avulsione dal riconoscimento della fobia, perdendo con ciò di vista l'angolo particolare sotto cui si configura il rapporto dell'uomo con la natura (le scienze) e con le arti. Questo angolo è eminentemente «fobico» e trova in un restauro, nel ripristino delle teorie sessuali infantili, la via regia per un approccio naturalistico e artistico, genialmente sovversivo, come in Giordano Bruno, alla realtà. In Hermann troviamo un'attenta considerazione dello spazio e con questo una riapertura degli orizzonti conoscitivi e poetici del soggetto: manca però, e credo sia utile rilevarlo, una teoria sessuale dei nessi tra la fobia e lo spazio, il riconoscimento cioè che l'accesso allo spazio non è libero, diretto, ma sbarrato, come per Sofia, nello Spaccio de la bestia trionfante, lo è l'accesso alla camera in cui fantastica degli amori incoercibili del padre, Giove. Solo il ritrovamento, in analisi, del proprio luogo della fobia permette a un analizzante di ricongiungersi con la propria intelligenza, vincendo quella che malamente è stata chiamata «inibizione». In realtà ogni volta che si parla di inibizione intellettuale scopriamo uno spazio senza scansioni. La «fuga del pensiero» è un fenomeno che risponde direttamente all'imposizione del modello di una conoscenza «penetrativa», una forma, kleiniana, di conoscenza che si fonda a sua volta sul modello della penetrazione genitale. Rispetto a un soggetto che ragiona in base alle teorie sessuali infantili la vagina è uno spazio senza divisioni. Le nuove conoscenze realistiche che una forzata interpretazione vuole introdurre nella latenza, non possono che risultare allucinanti. Il carattere di questa allucinazione si trasferisce poi in forme di pseudo-pensiero. Bisogna che come nell'Orlando furioso qualcuno vada 11

per noi sulla luna e ci riporti la nostra intelligenza imprigionata là in un'ampolla. Questo qualcuno è l'analista e la sua possibilità di salire come Astolfo fino al cielo stellato dipende dal suo esser stato capace di mantenere in vita la credibilità delle teorie sessuali, una credibilità che lo stesso Freud, nel suo scritto sulle Teorie sessuali infantili, aggancia a un punto di vista planetario. «Se, dopo aver rinunciato alla nostra corporeità, potessimo puri esseri pensanti, guardare con occhi nuovi le cose di questa terra, ad esempio da un altro pianeta...» A proposito di questa perdita di intelligenza, e di intelligibilità, rivelata dall'esperienza clinica, Nicolas Abraham ha parlato di un fantasma, un segreto, di altre generazioni che incomprensibilmente si insedierebbe in nostri contemporanei. Trattandosi di qualcosa di segreto e di appartenente ad altri, sfuma la possibilità analitica di togliere una rimozione, elaborare delle esperienze. Da parte mia penso però che la lontananza dal nostro inconscio, l'inattingibilità del fondo del nostro essere a ogni tentativo di rimemorazione non possano essere ridotte a un meccanismo occulto, a una storia di fantasmi, più che di fantasma. In questo modo infatti non si fa che mantenere il meccanismo di una spiegazione causale e storicistica proprio di una conoscenza «penetrativa». Si penetrano segreti. Gli organi rudimentali e l'espressione delle emozioni di Darwin, così come l'istinto di aggrappamento in Hermann, sono invece «residui» e come tali non si lasciano «penetrare», non sono riconducibili nella sfera del senso, riallacciabili a una catena di spiegazioni. Si lasciano constatare, effetti privi di causa, istinti che hanno perduto ogni funzione di utilità. Nella definizione della selezione naturale come «discendenza con modificazione», la modificazione prende il sopravvento S!llla discendenza fino a imporre un punto di vista sincronico, strutturale, in cui a un pensiero morfologico è dato di intendere l'autonomia di processi di metamor12

fosi (lavorazione del nome e del godimento del padre). Con Hermann troviamo un parallelismo. Il tracciato di un inconscio post-freudiano, naturalistico, in cui l'angoscia e l'amore si sommano portando i residui di antichissime esperienze traumatiche (e amorose), è composto di ciò che Darwin ci ha mostrato: al di là di una continuità di discendenza, la simultaneità di forme che ci rendono contemporanei (e fratelli) degli animali «inferiori» fino ai cirripedi, ai vermi e oltre. Il gioco di queste forme ci viene presentato con particolare chiarezza in una nuova specie della clinica da me individuata, la nevrosi di guerra in tempo di pace, nonché in una formazione dell)nconscio, il sogno, cui non si è guardato sinora sotto il profilo della luce e dei colori. La nevrosi di guerra in tempo di pace è l'esito di traumi non subiti, il sedimento di esperienze non compiute, che si ritrova in persone nate alla fine o anche molto dopo l'ultimo conflitto mondiale. Questa nevrosi è traumatica, ma di un trauma non solo dilazionato e trasferito in altra persona, di un trauma che rimanda per la sua spiegazione alla traccia darwiniana della relazione del soggetto con il godimento del padre. Questo rapporto al padre è ritrovato da me in Darwin nei termini presi a prestito da una teoria della luce e dei colori. Le ondulazioni della luce servono a illuminare le variazioni della crosta terrestre, il gioco della terra e del mare, e, attraverso il godimento che così sembra diffondersi, il variare delle forme viventi. L'intensificarsi della luce nei sogni è segnale di uno stato traumatico. Le gradazioni, le sfumature di tinta, che nelle macchie sulla superficie epidermica dei cani e dei cavalli ricreano nel corso del tempo l'immagine perduta del progenitore, appaiono anche nei sogni sia dei nevrotici di guerra che no a rivelare che il trauma è collegato al padre. Una lunga sequenza di sogni caratterizzati da accurate definizioni del colore (rosa-arancio, giallo-verdastro ecc.) e di forme (pietre arrotondate e luminose come ocelli ball-and-soc13

ket) stanno a testimoniare di un lavoro che consiste in una manipolazione inconscia della materia seminale del godimento paterno fino a trarne una «forma perfetta» e non più micidiale. Sergio Pinzi 14

Il luogo della fobia e la figura dell'ebreo straniero Prime considerazioni su un «Decalogo» cristiano L'ebraismo passa nel cristianesimo, e, come il trauma, passa inavvertito. Come qualsiasi evento traumatico è in realtà un trauma sessuale, e come tale si rappresenta nel rapporto sessuale che un soggetto intrattiene, così ogni fantasia di mutilazione, dal timore della perdita del pene a quattro anni, in poi, è il tentativo di guadagnarsi, attraverso una lucidità nella visione di Dio, la supposta familiarità ebraica con la capacità di sopportare il godimento del padre, quel vedere «nitidamente» i contorni delle cose che accosta nell'adolescenza le «silhouettes» dei sogni al proporsi di una sessualità propria accanto a quella paterna: un vedere «nitidamente» i contorni delle cose che è l'esito momentaneo di un colpo, di un incidente, di una ferita e il cui desiderio spinge il soggetto a procurarsi piccoli, o gravi, danni, dove il sangue, più o meno simbolico si contrappone al sangue mestruale che al contrario toglierebbe lucidità alle donne nei loro periodi. _ L'ebraismo passa nel cristianesimo attraverso le fantasie di mutilazione, ma l'intelligenza del luogo della fobia che, come avremo altra occasione di vedere, è pre-cristiana, si muta per la nostra morale nella lucidità visionaria di audaci sortite che appartengono al campo dei cristia15

nissimi sintomi fobici, interiorizzazioni degli antichi divieti, spostamenti di confini che rendon. o visibile ai pastorelli ciò che era riservato ai sacerdoti, femminilizzandolo però, ad apparire adesso, salvo che ai mistici eretici, è la Madonna, sicché la teorizzazione di un recupero delle teorie sessuali infantili, inaccettabile al fascismo, è in realtà inaccettabile per quel tanto di cristiano che c'è in tutti noi, psicoanalisi compresa. E allora nasce una domanda. Quanti sono gli ebrei? Così pochi che si possono facilmente sterminare. I «numeri» sono i censimenti, gli Arithmoi con cui il popolo si conta, e le tribù; ma spesso capita che il popolo non sappia bene identificarsi, anche se già nel Genesi Dio aveva dettato l'elemento distintivo nella circoncisione, prescritta a ogni bambino sia che fosse nato in casa «sia che fosse straniero», in questo modo infatti avrebbe anch'egli fatto parte del popolo. È curiosamente proprio questo «elemento distintivo» a portare il popolo ebraico fuori dalla certezza dei confini geografici. Nello stesso modo per il funzionamento di un «elemento distintivo», quello che distinse per il piccolo Hans l'animato dall'inanimato, il pene, anche quella teoria che nasce nel nostro «luogo della fobia», nella mappa ritagliata a rappresentare per la prima volta all'esterno la configurazione dell'apparato psichico, e che si esercita sulla constatazione-riparazione della prima fantasia di mutilazione, la perdita del pene, non è poi così sicura. Tanto è vero che deve venire successivamente rafforzata dalle costruzioni di difesa, dagli argini delle potenze psichiche, potata e mutilata a sua volta dall'impotenza a gestire la tecnica. Il rapporto all'elemento distintivo rimette in gioco che, di quei confini geografici, esiste invece uno sconfinamento. Così i sogni degli analizzanti sono attraversati da com16

ponenti sconfinanti, l'incrocio di provenienze diverse di padre e di madre, per esempio dal nord e dal sud, o di religioni diverse, o persino di diverso colore di capelli, il biondo e il bruno, o l'aver combattuto il padre in Jugoslavia (con o) contro i tedeschi e la sua antipatia per questo popolo, ma già qui ci si avvicina al tema, diventano in analisi, o meglio si rivelano in analisi come questioni di razza, e di razza ebraica. Così l'analizzante il cui padre ha combattuto in Jugoslavia diventa insieme un'esperta traduttrice di lingua tedesca e porta come primo sogno in analisi una gonna ricoperta di scritte in tedesco, ma frequenta fin dall'adolescenza ragazzi e uomini ebrei, che la maltrattano e finiscono con lo sposare una correligionaria. Un'altra, i cui sogni la portano di frequente all'interno di chiese in cui si spinge fino all'altare (quell'altare vietato se non ai leviti) osserva però uscire del sangue dall'immagine della Madonna e collega questo con il proprio orrore e disgusto, tutto ebraico, per le mestruazioni: «Non ti accostare a donna alcuna, durante la sua mestrua immondezza, per scoprine la nudità». Da i numeri all'immagine della Madonna si svolge quella specie di sogno che è il primo filmdel Decalogo di Krzysztof Kieslowski: Io sono il Signore tuo. Non avrai altro Dio all'infuori di me. La lettura dell'episodio può ridursi ai confini del titolo. Un professore di università osa affidare la propria vita, e la vita del figlio, al computer. Il monito del primo comandamento vendicherà il Dio tradito, facendo morire il figlio, motivo squisitamente cristiano giacché, come sappiamo, Cristo è morto in croce, mentre Isacco è stato risparmiato. Ma qualcos'altro vendica la sicurezza con cui i cristiani, non a caso il nome del protagonista è lo stesso del regista, ed è il nome di Cristo, si appropriano del Decalogo, e il regista polacco viene giocato dal proprio 17

sogno: i numeri del computer lo censiscono come ebreo. La prima immagine pone l'episodio sotto il segno del roveto ardente: un piccolo lago ghiacciato, un vagabondo sulla riva ha acceso un piccolo fuoco di legna. Krzysztof, profess'ore universitario e il figlio Pawel, lavorano e giocano, vivono intorno al computer. Problemi vengono inventati per essere risolti, tempi, distanze, chilometri, ore, minuti. Orari: sono le 9,30 e ci sono 14 gradi sotto zero. Che cosa fa la mamma alle 15,30? Che peso potrà reggere il lago ghiacciato? Anche la zia, sorella del padre, ma «così diversa da lui», viene iniziata dal bambino alle meraviglie del computer. «Perché sei diversa da papà?». «Siamo stati educati in una famiglia molto cattolica, ma poi tuo padre...». I «numeri» dunque portano Krzysztof oltre il cattolicesimo, e i nomi dei popoli che sfilano negli elenchi del computer, greci, italiani, greci, due volte, m� lo censiscono altrove, sicché quando durante la notte Krzysztof si trova, recatosi a verificare la superficie ghiacciata del lago, faccia a faccia con il vagabondo e il suo piccolo fuoco, è il Mosè straniero ad apparire in piedi di fronte all'altro accovacciato, e, durante il suo ritorno a casa, le inspiegabili file di uomini e donne che incontra stranamente immobili e attonite, non possono non richiamare le figure degli ebrei allineati nei campi di concentramento. Pawel e il padre partecipano a un torneo di scacchi e vincono la sfida: ma lo scacco al re è nei confronti di una donna. La zia telefona a Krzysztof e gli comunica di aver prenotato per il bambino un posto a lezione di catechismo. «Ti voglio bene» aveva detto Pawel alla zia. «E Lui è in questo», gli aveva risposto la zia, Dio, per i cristiani, è nell'amore ai fratelli. Ma per Krzysztof, che pure non lo sa, ebreo straniero, Dio è nel roveto ardente ed è questo Dio ebraico complesso, che può contraddirsi, che può sconfiggere la propria stessa persona nel Computer, e far 18

saltare i numeri, suo Figlio invece nei Vangeli nascerà all'interno di un censimento, questo Dio è lo stesso elemento irriducibile, tempestoso e irato, lo stesso per cui tremila ebrei periranno nella furia di Mosè che ha appena spezzato le tavole della Legge, «il fratello ucciderà il fratello», che scioglierà con il calore del fuoco portato dall'aria la superficie ghiacciata del laghetto. Pawel, che per il Natale, il giorno della nascita di Gesù, si è fatto regalare dei pattini, su quella superficie morirà. Krzysztof entrerà in una chiesa e, nelle ultime immagini dell'episodio, rovescerà con la stessa furia di Mosè, l'altare dedicato alla Madonna. E per Krzysztof nato cattolico come la mia analizzante che si reca in sogno ai piedi dell'altare, l'immagine della Madonna, ora quella nera venerata dai polacchi, verserà non questa volta ebraico sangue mestruale, ma lacrime romane, come le madonnine delle famiglie siciliane. La «piccola mutilazione» di Krzysztof, un cerchio privo di capelli al sommo della testa, che gli viene baciato dal figlio dopo la misurazione al computer della resistenza della superficie ghiacciata, l'ha immesso nell'ebraismo ma resta anche, ed è in essa che sprofonda il Figlio, pur sempre la chierica dei sacerdoti cattolici. Dio non ha solo marchiato il suo popolo ma infilato una spina nel cuore di tutti. Così si spiega come il segno della mutilazione accompagni i popoli e gli individui, nei sogni e nelle messe in atto, nelle rappresentazioni e nei destini, nella risposta al pungolo dell'amore (le piccole mutilazioni di Van Gogh), e nel tentativo di volare con un'ala sola, che è il tentativo dell'eroe. Ma si accompagni anche al grottesco, alla «piazza», al tondo invece che alla silhouette, alla caricatura del padre che è l'elemento psicotico uccisore del figlio: quello che all'eroe con un'ala del diario della sua giovinezza, fa riscontro in Paul Klee nel disegno grottesco Klassisch-Komisch, china su carta, in cui piccolo e grande 19

sono accostati, piccolo l'uomo grande la donna, ma entrambi feriti alle braccia, alle gambe e nel viso da tagli orizzontali. La mutilazione è il piccolo tentativo di rientrare nei «numeri», come i greci, appunto, hanno chiamato il quarto libro del Pentateuco, ma la «misura» di questa fantasia segna l'arco dalla normalità alla nevrosi, e da questa alla psicosi a seconda di quanto vinca il Dio cristiano sul Dio d'Israele. Virginia Pinzi Ghisi 20

Osip Mandel'stam Verso il Discorso su Dante (Taccuini)

UN ENORME ESPERIMENTO D'INTERPRETAZIONE Insieme al Viaggio in Armenia (pubblicato nel 1933) il Discorso su Dante1 (scritto fra il 1933 e il '34) introduce e accompagna il lettore nell'ultima grande fase della poesia di Osip Mandel'stam, quella dei Versi Nuovi (1930-34) e dei Quaderni di Voronez2 (193 5- 3 7 ). L'incontro con la Commedia è folgorante: «di Dante, Osip disse subito che era la cosa più importante di tutte.[...] Scovò una Divina Commedia di piccolo formato e se la portò sempre in tasca»3 • Dante come corpo estraneo - estraneo, per la lingua e la distanza, al poeta russo del ventesimo secolo - diventa il granello attorno al quale si stratifica geologicamente la poesia di Mandel'stam. Così la meteorologia applicata alla lettura di Dante, nel Discorso, è il viaggio del geologo armato di martelletto nella lingua e nella poesia, il viaggio di Mandel'stam nell'ultima fase della sua poesia. Nel granito Mandel'stam legge la stratificazione geologica e fisiologica della Commedia, fornendoci il primo strumento per entrare nella sua stessa poesia: Immaginate un monumento in granito eretto al granito per rivelare lo spirito che informa questo materiale, e avrete un'idea abbastanza chiara del rapporto fra forma e contenuto in Dante4 • I materiali poetici sono gli atomi di una massa in movimento. Mandel'stam scopre la corrente continua, l'impeto della creazione che attraversa la Commedia. È il procedere caratteristico del Mandel'stam dell'ultima fase, per il quale un unico impeto poetico lavora in una serie di testi, fino 22

al suo esaurirsi. Nascono così i «quaderni»: L'inizio e la fine di un «quaderno» sono regolati solo dal carattere unitario dell'impeto poetico5 • Per guardare l'opera come massa in movimento, per cogliere l'impeto della creazione poetica dantesca, Mandel'stam non istituisce un osservatorio privilegiato. Ci fornisce, invece, «una serie di bollettini dalla zona delle operazioni belliche». Come l'occhio sfaccettato della mosca, lo sguardo di Mandel'stam assume gli infiniti slanci che vede riflessi nella Commedia: «slanci di arte tessile o velica, slanci scolastici, meteorologici, d'ingegneria, slanci civili, artigianali...». L'assunzione dei diversi punti di vista non genera analogie: Dante non è come un direttore d'orchestra, una bacchetta, un geologo, un osservatorio atmosferico, uno stratega. Nell'opera di Dante c'è esattamente il movimento che agita ogni costruzione umana e l'intero universo. Lo stessomovimento che si ritrova negli atomi della fisica, nella tempesta6 , nelle partiture musicali, nel sangue7 e nel volo. Per questo Mandel'stam guarda alle scienze: perché non c'è psicologismo nella sua lettura del testo. Nel Discorso non c'è spazio per la descrizione, dunque nemmeno per quella descrizione di secondo grado che è l'analogia. Il movimento della creazione scuote i testi: i significati oscillano, l'integrità nelle immagini è violata. «È un procedimento tipicamente dantesco», scrive Mandel'stam. Ed è un procedimento tipicamente mandel'stamiano, che ritroviamo persino nelle prose, nei «taccuini» che si sviluppano parallelamente ai saggi maggiori. Come il Viaggio, anche il Discorso si sviluppa in taccuini8 • In questi frammenti, le minute in margine, oscillano le immagini e i significati del testo maggiore. Cos'è un'immagine? Un mezzo per... 9 In tutto il Discorso la parola orudie (mezzo, strumento) ha un'importanza decisiva. Ma «mezzo» è solo uno dei significati di orudie, che vuol dire anche «cannone, pezzo d'artiglieria». Ed ecco che, verso la fine del primo frammento, orudnyj, come aggettivo, contiene entrambi i significati: [gli usurpatori del seggio papale] potevano restare indifferenti al fuoco d'artiglieria con cui Dante li giustiziava secondo le leggi della metamorfosi poetica 10• L'«immagine-mezzo» entra così in quel campo di battaglia che è, per Mandel'stam, il farsi della poesia: «in poesia è sempre guerra». Per questo Dante è «lo stratega delle trasformazioni e degli incroci». Così il Discorso, e i taccuini, si rivelano decisivi per entrare nel 23

laboratorio di Mandel'stam. Il suo sguardo sulla Divina Commedia è quello di un uccello rapace, guidato dal proprio orientamento in quell'infinito terreno di caccia che è l'opera dantesca. Mandel'stam non tenta di ridarci direttamente il mondo rappresentato da Dante, non descrive, ma muove le immagini, i significati, gli etinii e i suoni perché dal loroincontroorigini la scintilla dell'interpretazione. Facciamo allora incontrare qui due diverse letture mandel'stamiane, quella di Dante, nel Discorso, e quella di Darwin, nei Taccuini del Viaggio in Armenia. La Divina Commedia è un «solido cristallino», al quale lavora «uno sciame di api dotate di un geniale fiuto stereometrico». Darwin «costruisce le sue argomentazioni scientifiche in modo stereoscopico, estendendo le coordinate dell'esempio in lunghezza, profondità e altezza». È l'imperativo che Mandel'stam aveva lanciato nel Mattino dell'acmeismo11 : «si può costruire soltanto in nome delle tre dimensioni». Non a caso, nell'esempio che Mandel'stam riporta dall'Origine delle specie, troviamo «l'istinto edificatore delle api». La visione deformata, in Darwin e in Dante, si allea con il saper fare (masterstvo) contro la contemplazione passiva. Darwin agisce con la natura «come un corrispondente di guerra, un intervistatore, un temerario reporter che riesce a spiare i fatti alla loro stessa fonte». Analogamente, i canti della Commedia «ci forniscono come una serie di bollettini della zona delle operazioni belliche». Dante è uno stratega, Darwin una vedetta. E se l'Origine delle specie è, per Mandel'stam, «un diario di viaggio altrettanto esatto del Viaggio sulla Beagle», la Commedia gli appare un «viaggio con conversazioni». Il naturalista contemporaneo di Dickens e l'italiano che, con seicento anni di anticipo, ha saputo sfruttare le «accecanti esplosioni della fisica e della cinetica moderne», sono accomunati dal fatto che non descrivono. Darwin rifiuta il gusto della descrizione. Nel suo libro i fenomeni naturali compaiono solo per partecipare attivamente all'argomentazione, lasciando subito il posto non appena abbiano adempiuto alla loro funzione: Nell'Origine delle specie animali e vegetali non vengono mai descritti per il puro gusto della descrizione. Il libro pullula di fenomeni naturali, ma essi compaiono soltanto nella forma necessaria in quel momento, partecipano attivamente all'argomentazione, e immediatamente dopo lasciano il posto ad altri 12• È quello che Mandel'stam chiama il fluire della «metafora eraclitea» in poesia: 24 Le immagini di Dante si separano e si accomiatano l'una dall'altra 13 •

È questo flusso ininterrotto, la «convertibilità», che determina le forme («una forma secerne l'altra,;), le «inclinazioni lessicali» e i cicli semantici insieme: I cicli semantici danteschi sono costruiti in modo da cominciare con «miele» [med in russo, ndt] e arrivare a «rame» [med']. partire da «latrato» [laj] e terminare con «ghiaccio» [led]14 • Così non resta spazio per la contemplazione. In Darwin è la tensione del pensiero (con le sue leve: «il buon senso del mercante, lo spirito di iniziativa e solidarietà, il coraggio di fronte ai concorrenti, una baldanzosa e un po' limitata gioia di vivere») a dare forma e struttura letteraria al suo lavoro. È la «sete di esperienza» che fa esplodere il principio sotteso alla classificazione linneana «conoscere e ammirare»: Cominciando da Darwin e dal suo viaggio sulla Beagle e finendo con il giro del mondo compiuto dal famoso Claude Monet a bordo della Brigitte, assistiamo a un colossale esercizio di osservazione analitica e a una altrettanto colossale sete di esperienza sulla ferma base dell'attività pratica e dell'iniziativa personale15 . All'osservazione da camera degli insetti «agghindati e truccati», «presentati come pietre preziose nella loro incastonatura», Darwin sostituisce il diario di viaggio. Ed ecco che gli animali sono colti di sorpresa, nell'attimo in cui assumono la loro posizione caratteristica. Come una fotografia. È l'attimo nel quale partecipano attivamente all'argomentazione, per poi sparire. Luce, aria, tempo atmosferico - quel «bel tempo scientifico che contagia il lettore di Darwin» - irrompono nel testo. Ed ecco Dante, che «lavora non meno bene di una stazione meteorologica alpina modello, con bellissimi osservatori e buone attrezzature». Ecco l'Inferno, scosso dal. movimento della tempesta «che matura come un fenomeno meteorologico», e le luci diverse del sole montano, delle nuvole, dell'umidità. E ancora, nel Paradiso, l'invenzione di una luce nuova: quella dei fuochi d'artificio delle feste rinascimentali. È l'importanza dell'illuminazione. Del dettaglio, in Darwin, dove i fatti respirano, raggruppati in «masse luminose». E in Dante, dove la luce segnala «l'improvviso desiderio di esprimersi»: Nel XVIII canto del Paradiso, Carlo il Grande, Rolando, Goffredo e Roberto il Guiscardo non possono trattenersi dal rispondere, come segnali luminosi, a Beatrice che enumera i loro nomi: salutano, concedono il bis... 16 Nella Commedia, la luce e il suono rivelano la loro affinità in 25

quanto onde. Quando Farinata esce di scena, «la luce fonetica si spegne». Niente resta sospeso nell'immobilità dello spillo dell'entomologo in Darwin. È il principio di moto del naturalista-sperimentatore che Mandel'stam scopre nell'Origine delle specie. L'energia cinetica è quella dell'argomentazione, che si scarica in «quanti», in fasci: Accumulo e resa, inspirazione ed espirazione, flussi e riflussi17. Quasi una respirazione. E insieme al principio di moto: la legge della varietà, dell'«eterogeneità», dove la scienza coincide con gli effetti estetici: Penso alla legge dell'eterogeneità, che spinge l'artista a unire in una stessa serie suoni di qualità il più possibile diversa, concetti di diversa origine, immagini estranee18 • Una verità che, in Dante, è impossibile catalogare. Per le forme molteplici, per il gran numero di inclinazioni lessicali (barbariche, latine, toscane,...), perché «cercare di enumerare le immagini dantesche è come voler enumerare i cognomi di quelli che hanno partecipato alle trasmigrazioni di popoli». Quanto al principio di moto, esso è per Dante, e Mandel'stam con lui, costitutivo della poesia: Il piede del verso - espirazione e inspirazione - è il passo. Un passo che deduce, vigila, sillogizza19 • «Il passo, legato alla respirazione e saturo di pensiero, è per Dante l'inizio della prosodia», leggiamo nel Discorso. Non si tratta di una semplice analogia. L'andatura umana, il passo, è per Mandel'stam «l'aspetto più complesso del moto». Quel movimento stesso che lo costringeva a camminare dettando i propri versi. Per questo, «non per scherzo», pensa alle suole che Dante ha consumato durante la sua «fatica poetica», e scrive di Tiflis: Ew.e OH ITOMHHT è>awMaKOB HJHOC MOHX ITOAMeTOK CTepTOe een11qbe, (Se lo ricorda ancora il consumarsi delle scarpe, la logora grandezza delle mie suole)20 . Il movimento del verso conserva l'impronta del passo: la sosta della descrizione non trova spazio. Come Dante ha mostrato, c'è un unico "oggetto" che la poesia può descrivere: l'impeto creatore: 26 Noi descriviamo l'indescrivibile, ossia il testo della natura, sospeso nell'immobilità, e abbiamo disimparato a de-

scrivere l'unico oggetto che sia davvero strutturalmente passibile di raffigurazione poetica: gli impeti, le intenzioni e le ampiezze dell'oscillazione21 . Non è possibile descrivere il testo della natura. Darwin è sorpreso da Mandel'stam proprio mentre sfoglia inquieto questo libro («non come laBibbia! che c'entra qui la Bibbia!»), come fosse «l'indice della borsa», come un repertorio «dei segni e delle funzioni». Anche Darwin è sempre in moto. La sua Origine delle specie è, per così dire, una «passeggiata con conversazioni»: Immaginate un dotto giardiniere che accompagni gli ospiti per la sua tenuta e dia loro spiegazioni fermandosi tra le aiuole [.. . ]22 A pilotare l'attenzione di Mandel'stam, in Darwin, è il fatto che il pensiero conforma la scrittura. È la forma letteraria delle sue opere. Lo stile gli appare come lo strumento del naturalista, esattamente come il suo occhio. «L'organizzazione stessa del materiale scientifico è lo stile del naturalista»: Non prendere in considerazione la forma delle opere scientifiche è altrettanto scorretto che ignorare il contenuto di quelle letterarie: gli elementi dell'arte sono instancabilmente al lavoro nelle une come nelle altre23 • Per comprendere Dante, Mandel'stam chiama a raccolta tutte le scienze sperimentali, invoca il metodo della «medicina viva» in soccorso della critica letteraria. La strategia delle metamorfosi e degli incroci, che si compie nel testo poetico secondo la legge della «convertibilità», esce dal quadro chiuso dell'interpretazione letteraria. Darwin e Dante: con loro Mandel'stam apre la sua ultima straordinaria stagione poetica: quella dei Quaderni di Voronei. Un'unica fisiologia universale anima i Quaderni: si animalizza l'inanimato, si geologizza il vivente: BeTep CJJY)KHT AapoM Ha JaBOAax, 11 AaJJeKO yoeraeT raTb. (Nelle fabbriche il vento lavora per niente/ e corrono lontano le travi del fango)24 . 11 BJJaroH HanoeH, BOCCTaJJ nec'laHHK 'leCTHblH, 11 cpeAb peMecneHHoro ropoAa-csep'IKa MaJJb'IHWKa-OKeaH BCTaeT H3 pe'IKH npeCHOH 11 'laWKaMH BOAbl WBblpSleT 8 OOJJaKa. (E onesta si solleva l'umida arenaria:/ in mezzo alla città, 27

grillo di mestieri, / ragazzo dispettoso l'oceano si alza dal ruscello I e lancia tazze d'acqua nelle nuvole)25 • Kocn, ychmJJeHHasi JassiJaHa yJJJOM. Qqenose'ieHbI Konem1, pyKH, nneq1-1 (Osso addormentato intrecciato nel nodo/ ginocchia, mani, spalle umanizzati)26 • HblH'ie ,QeHb KaKOH-TO )KeJJTOpOTbll1: (Il giorno ha un becco giallo)27 • Sono le forme di quel passare di cosa in cosa, di quella continua mutazione che, come in Dante, fa incrociare gli organi, rende le palpebre «labbra degli occhi». Anche la città, in Mandel'stam, ha gli occhi, le palpebre del mostruoso Vij gogoliano in Kak pò ulica Kieva-Vija28 (Come per le strade di Kiev-Vij), dove l'eco del nome Kiev si prolunga in Vij: Kieva-Vijil, al genitivo come nel testo. In questo senso il Discorso su Dante ci appare come una splendida introduzione nel laboratorio di poetica mandel'stamiano. Le lettere guizzano, le radici calamitano il movimento delle immagini: la sintassi non esiste, non c'è che lo slancio calamitato, la nostalgia della poppa di vascello, nostalgia dell'esca, nostalgia di legge non promulgata (...)29 • Le «metafore eraclitee» dei Quaderni non lasciano spazio alla contemplazione diretta delle immagini. Perché solo nel movimento della realizzazione ha vita la materia poetica: il processo della creazione artistica viene declinato nel caso ablativo che tende sempre verso un punto d'arrivo30 • Così per Mandel'stam è l'ablativo, il complemento di moto, il caso in cui declinare il testo poetico, contro l'immobilità «scultorea» del nominativo. La contemplazione non ha spazio in poesia, la corsa del testo è determinata, come legge fisica, da quell'impeto che muove, dal caos e dall'inanimato, la pietra, l'arco, l'uomo. Ed ecco, in Rozdenie ulybki (La nascita del sorriso )31 , il sorriso-lumaca (ulybkalulytka): YJJHTKH pTa HanJJblB H npHÒJJH)KeHbe - (sbocco c avvicinamcnto <lclla lumaca della bocca) YJJHTKa BbIOOJIJJJa, YJJblùKa npOCHSIJJa, (la lumaca è uscita, è raggiante il sorriso) Ecco lo slancio architettonico dell'arco, dell'arcobaleno: 28

XpebbOM H apKOIO JlO):IHHJlCH MaTepHK, (il continente si è alzato, dorsale e arco) KaK ):\Ba KOHUa HX pai:1yra CBH3aJJa, (come due estremi li lega l'arcobaleno) Dall'inanimato, dalla anarchia dell'oceano (okeanskoe bezvlastie), il continente si alza sulle zampe (na lapy iz vody podnjalsja materik) e nasce il sorriso: EMy HeBbipa3HMO xopowo, YrnaMH ryb OHO HrpaeT B CJlaBe - (Non si può dire quanto sia beato, nel gioco glorioso degli angoli delle labbra) È il bambino che ha imparato il movimento delle labbra, uscendo dal guscio di lumaca. Ogni immagine, nel testo, è generata da quella che la precede: solo in questo movimento i «segnali-onde semantiche» adempiono alla loro funzione. L'impeto della realizzazione obbedisce all'impulso che è, insieme, architettonico e strutturale, fonetico e semantico: da ulybka (sorriso) a ulytka (lumaca); da jav' (realtà) a javlenie javnoe (chiaro fenomeno). Come l'impronta del passo si conserva nel movimento del verso, così le labbra che si muovono sono il primo segnale dell'impeto poetico, del suo «gioco glorioso». Il verso, la poesia, non possono essere separati dal movimento delle labbra del poeta: La bocca lavora, il sorriso muove il verso, le labbra sono rosse di intelligenza e allegria, la lingua preme fiduciosa contro il palato32 • La lingua preme fiduciosa contro il palato (nebo): «costruire significa combattere contro il vuoto, ipnotizzare lo spazio», scriveva Mandel'stam nel Mattino dell'acmeismo, lo spazio vuoto del cielo (nèbo). Niente, allora, potrà fermare il movimento delle labbra. Così, nei Quaderni, la poesia trionfa contro ogni forza nemica: IlHWHB MeHH MOpeif, pa3bera H pa3JleTa l1 ):laB CT0ne ynop HaCHJlbCTBeHHOH 3eMJJH, t.Jero i:1obHJ1HCb BbI? BneCTH!llero pac'leTa: ryb weaeJJHlllHXCH OTHS!Tb Bbl He MOfJlH. (Togliendomi il mare, la rincorsa e il volo, dando al piede l'appoggio della terra forzata, cosa avete ottenuto? Calcolo brillante: non potevate amputarmi le labbra che si muovono.)33 Maurizia Calusio 29

NOTE 1 Razgovor o Dante (Discorso su Dante) apparve, per la prima volta nel mondo, nel maggio del 1965, in traduzione inglese, sulle pagine della rivista americana «Books Abroad», in un numero mono-· grafico dedicato al settecentesimo anniversario della nascita di Dante. Fu poi tradotto in spagnolo, in un volume che riprendeva interamente il numero della rivista americana. La prima edizione 1.n lingua russa, stabilita sulla base di un dattiloscritto lacunoso e incompleto, giunto dall'Urss nel 1962, uscì nel 1966 nel primo volume delle opere di Mandel'stam, Sobranie Socinenij v trech tomach, Inter-Language Literary Associates, a Washington. Nella seconda edizione del volume (1967) il testo venne integrato sulla base di un nuovo dattiloscritto, giunto dall'Unione Sovietica nel '65. In Urss il Discorso apparve, per la prima volta, nel 1967, Razgovor o Dante, Mosca, a c. di L. Pinskij. Recentemente è stato ripubblicato nella raccolta di saggi mandel'stamiani Slava i kul'tura, Mosca, 1987. È questo il testo a cui noi facciamo rif e rimento. In Italia, il Discorso è apparso, per la prima volta, nel 1967, insieme ad altri testi dell'autore in La quarta prosa, Bari, trad. di Maria Olsufieva. Nel 1982, Editori Riuniti ha ripubblicato quell'edizione, integrando il testo del Discorso sulla base della seconda edizione americana. È a quest'ultimo che facciamo rif erimento qui. 2 Per la divisione delle poesie di Mandel'stam degli anni '30 in Versi Nuovi e Quaderni di Voronei, cfr.. NadezdaMandel'stam in Vospominanija, New York, 1970 e Vtoraja Kniga, Parigi, 1972 e le traduzioni italiane, rispettivamente L'epoca e i lupi, Milano, 1971, trad. di G. Kraiski, e Le mie memorie, Milano, 1972, trad. di S. Vitale. Jennifer Baines, nel volume Mandelstam: the Later Poetry, Cambridge University Press, 1976, ha riordinato la produzione mandel'stamiana di questo _periodo, seguendo le indicazioni di N. Mandel'stam, nei due Quaderni di Mosca e nei tre Quaderni di Voronez. 3 Cfr. N. Mandel'stam in L'epoca e i lupi, cit., p. 294. 4 Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 119; trad. it., cit., p. 129. 5 Cfr. N. Mandel'stam, L'epoca e i lupi, cit., p. 242. 6 «Mandel'stam era posseduto dal senso della tempesta, "futuro permanente dell'universo"», scrive Jurij Levin nel suo Zametki k Razgovoru o Dante O. Mandel'stama (Note al Discorso su Dante di O. Mandel'stam), «International Journal of Slavic Linguistics and Poetics», 15, 1972. 7 «Nel canto di Ulisse la terra è già rotonda. È un'esaltazione del sangue umano, nel quale è contenuto il sangue dell'oceano. L'inizio del viaggio è iscritto nel sistema cardiovascolare. Il sangue è planetario, polare, salino», scrive Mandel'stam nel Discorso. Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 130; trad. it., cit., p. 139. 8 Il Viaggio in Armenia era già apparso in Italia nel volume La 30

quarta prosa, cit. La recente, nuova edizione, curata da Serena Vitale per Adelphi(1988), oltre a comprendere i «brogliacci» dell'opera riporta anche gli scritti «geneticamente e cronologicamente legati al Viaggio, secondo un tipico tratto della scrittura mandel­ 'stamiana che procede per "grappoli" intorno a temi, istituzioni(...) e i!)teressi centrali»(S. Vitale, op. cit.). E a questo testo che facciamo riferimento in queste note. Quando il Discorso venne pubblicato in Italia, i «taccuini» che qui traduciamo erano ancora inediti. 9 Cfr. Verso il Discorso su Dante, in questo numero. IO lbid. 11 Utro Akmeisma, «Sirena», n. 4-5, 1919; ora in Slavo i kult'ura, cit.; trad. it. in Le poetiche russe del Novecento, a cura di G. Kraiski, Bari, 1968. 12 Cfr. Viaggio in Armenia, trad. it., cit., p. 148. 13 Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 130; trad. it., cit., p. 139. 14 lvi, p. 119; trad. it., cit., p. 130. 15 Cfr. Viaggio in Armenia, trad. it., cit., p. 128. 16 Cfr. Verso il Discorso su Dante, cit. 17 Cfr. Viaggio in Armenia, trad. it., cit., p. 147. 18 lbid. 19 Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 112, trad. nostra. 20 Esce on pomnit basmakov iznos, n. 363, in O.M., Sobranie Socinenij, 1967, cit., p. 249, trad. nostra. 21 Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 143; traci. it., cit., p. 151. 22 Cfr. Viaggio in Armenia, trad. it., cit., p. 146. 23 lvi, p. 134. 24 la t,ivu na vat.nych ogorodach, n. 304, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 213; traci. nostra in «il gallo silvestre», n. 2, Edizioni di Barbablù. 25 la vide[ azero, stojascee otvesno, n. 374, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 255; trad. nostra in «il gallo silvestre», cit. 26 Vnutri gory bezdejstvuet kumir, n. 330, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 227, trad. nostra. 27 Nynce den' kakoj-to t.eltorotyj, n. 329, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 226, trad. nostra. 28 Kak po ulica Kieva-Vija, n. 395, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 270; trad. nostra in «il gallo silvestre», cit. 29 Cfr. Razgovor o Dante, cit., p. 147; traci. it., cit., p. 155. 30 lvi, p. 127, trad. it. cit., p. 136. 31 Roidenie ulybki, n. 342, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 234, traci. nostra. 32 Cfr. Verso il Discorso su Dante, cit. 33 Lisiv menja morej, razbega i razleta, n. 307, in O.M., Sob. Soc., cit., p. 214, trad. nostra. 31

1 Cos'è un'immagine? Un mezzo1 per la metamorfosi dell'incrociato discorso poetico? Lo comprendiamo con Dante. [Con Dante proviamo vergogna per i contemporanei, se la vergogna ancora «non si è annacquata».] Ma Dante non ci insegna come usare questo mezzo, perché si è trasformato, è sparito. Dante stesso è un mezzo per la metamorfosi dell'epoca letteraria, che si contrae e si distende. Qui da noi, ma anche in Occidente, abbiamo smesso di sentire l'epoca letteraria, e la studiamo come resoconto di «formazioni culturali». Fermiamoci sul concetto di «cultura». È opportuno chiedersi se il discorso poetico rientri completamente, incontestabilmente, in ciò che è la cultura. E ce lo chiediamo perché, di fatto, a costituire ciò che si chiama cultura è solo il cristallizzarsi delle convenienze nel corso della loro evoluzione, e il loro successivo fissarsi nel concetto passivo di formazioni storiche. [«Cultura egizia» indica, in sostanza, le convenienze egizie, «cultura medievale» quelle medievali. I sostenitori 33

del concetto di cultura, [pur essendo sostanzialmente in disaccordo con il culto di Amon-Ra o con le tesi dei Concilio di Trento] si appassionano per forza alla serie, per così dire, di sconvenienti convenienze. È proprio questo il senso della sudditanza culturale che stringeva, nel secolo scorso, l'Europa universitaria e scolastica, avvelenando il sangue dei costruttori originali di formazioni storiche successive, e, cosa ancor più grave, calando in calco di compiuta ignoranza ciò che invece avrebbe potuto essere un sapere vivo, concreto, splendido, riportato al passato come al futuro.] Non è lecito ficcare il discorso poetico nella «cultura» come resoconto di formazioni storiche: così facendo si ignora che la poesia è, per sua natura, materia prima. Contrariamente a quanto comunemente si crede, la lingua poetica è infinitamente più scabra, meno "limata" di quella «parlata». E proprio come materia prima ha a che fare con la cultura interpretativa. È quanto mostrerò sull'esempio di Dante. Anticipo sin d'ora che, nella Commedia, l'indipendenza - tipica della materia prima - della lingua poetica non viene mai contraddetta, direttamente o indirettamente. Gli usurpatori del seggio papale potevano non temere quei suoni che Dante riversava su di loro, potevano restare indifferenti al fuoco d'artiglieria2 con cui Dante li giustiziava, seguendo le leggi della metamorfosi poetica. Ma nella Commedia viene prevista e rappresentata l'esplosione del papato come formazione storica. Si rivela così l'infinita scabrosità della risonanza poetica, fuori quadro rispetto alla cultura delle convenienze che insulta, con il suo diffidarne, sputandola fuori come un gargarismo con cui ci si è pulita la gola. 34

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