Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

infatti a questo scritto una capitale preoccupazione filosofica, insinuata in entrambi i personaggi del suo «sogno». Dapprima nei «desiderata» che il Sanseverino, nel corso del "dialogo", confida al suo maestro («Saranno insieme da fondare una teoria della vitalità o dell'utilità che si chiami, unificando quanto ne sta disperso nelle teorie della politica, dell'economia, delle passioni, e in altre»). Poi nei pensieri dello stesso Hegel che, turbato dalle sensate obiezioni del suo interlocutore, resta in preda a un dubbio suscitato da certe sue parole («Anche la sua filosofia comincia ad essere nota, ma, ahimè, proprio come non vorrei che fosse: come una sorta di religione razionalizzata, i cui cultori già prendono aria e accenti sacerdotali e tenderanno a formare una chiesa»). I «desiderata» del galantuomo napoletano e il dubbio ultimo di Hegel sono i moventi del «ghiribizzo» crociano. Quel «desiderio», quel «dubbio» appartengono entrambi ai suoi pensieri. Hegel e Sanseverino incarnano due figure conviventi nello stesso Croce. Non gli è estranea, infatti, l'esperienza del grande filosofo, giunto alla fine di uno straordinario percorso intellettuale; autore di un compiuto sistema che dispone in bell'ordine il Vero, il Buono, il Bello e l'Utile; artefice di una potente egemonia culturale che dµra già da mezzo secolo. In quegli anni Croce sentiva tutto il peso e la responsabilità della sua opera. E, a quest'altezza, poteva provarsi a immaginare i pensieri più inquieti del suo Hegel, il «dubbio» di aver chiuso la «vita» e le «passioni» in un arido sistema, di aver fondato una «chiesa» presidiata, forse, da discepoli ottusi. Nello stesso tempo, Croce si sentiva ugualmente vicino al giovane Sanseverino che gli ricordava come all'origine del pensiero più astratto c'è pur sempre la «vita» venata di «passioni» e gli indicava il compito di una «filosofia della vitalità» che avrebbe dovuto rianimare i concetti pietrificati agli angoli del «sistema». 97

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