Il vecchio Croce consultava Hegel indossando il sembiante di un uomo ancora curioso, «d'ingegno fresco e spregiudicato», che, malgrado avesse già varcato il «periodo dell'apprendimento e del rimuginamento dell'appreso», non si faceva scrupolo di confidare francamente al suo illustre interlocutore il motivo veramente "umano" della simpatia intellettuale nutrita per la sua opera: una «cosa mi piace nella fisionomia del suo filosofare» - gli diceva - «Io sento in esso, nonostante la severità e talora aridità didascalica, l'uomo che ha provato le passioni, l'uomo che ha amato e ha vissuto». Nel racconto di .Croce, le schiette parole del giovane non infastidivano il tetragono filosofo che, anzi, lasciandosi prendere dal ricordo, volentieri ripensava ai «casi della sua vita» e ai «suoi amori» e a un «figlio naturale che aveva messo al mondo, fino alle piccole gelosie che dava talvolta alla sua ancor giovane moglie, da lui amata e venerata, per il troppo galanteggiare con le belle cantanti». Queste sfumature del racconto ci suggeriscono un'altra supposizione. E se Hegel fosse lo stesso Croce? Se si trattasse di un colloquio con se stesso? Potremmo allora immaginarlo, ormai ottantenne, alle prese coi suoi più riposti ricordi: le sue di passioni per le «belle cantanti» con cui, come un ardito giovanotto impenitente, anch'egli alla sua maniera aveva «galanteggiato», inseguendole tra le pagine d'archivio, con inesausto desiderio, riprendendo spesso il filo delle sue antiche ricerche sul teatro. E gli amori belli di scapolo o quello così intenso per la sua Angelina2. O le affettuose premure che, vincendo la distanza dei secoli, aveva in passato dedicato alle squisite «figurine» femminili o agli stupendi esemplari di bellezza custoditi tra le sue Vite di awenture, di fede e di passione. Non sono, ovviamente, le sfumature involontarie del racconto che giustificano la versione autobiografica delle «pagine» vergate sotto il segno di Hegel. Croce affidava 96
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