slabbramento metaforico decadente, portava all'affermazione categorica del principio d'identità: «A= A; che magnifico tema poetico». Vent'anni più tardi, nel Discorso, la metafora ritorna, ma «una metafora si può definire solo metaforicamente». E mentre la fluidità delle metafore eraclitee, rende ora impossibile l'identificazione stabile di ciascun termine, il principio d'identità ritorna travolto, anch'esso, nel flusso energetico che nulla risparmia. La più ampia valorizzazione della metafora («comparo dunque sono» - «solo attraverso la metafora si rivela alla nostra conoscenza la materia»), si autoannulla, in Mandel'stam, per troppa estensione: la metafora eraclitea (in cui tutto è movimento e niente è discernibile) «descrive un avvenimento in modo che il risultato finale sia nullo». Ma la svalutazione più forte della metafora viene direttamente dal principio d'identità, da quel «magnifico tema poetico» che si oppone agli slittamenti da parola a parola. L'identità e la metafora sono, qui, i due estremi fra i quali Mandel'stam oscilla. Da una parte, nella metafora, le parole - o meglio «i cambiamenti di significato di una parola» - si ordinano nel verso sfuggendo da una all'altra: una fuga di rimbalzo, che le lascia in una posizione ridotta e sfuggente. All'altro estremo, c'è l'identità, la presenza, come se le parole- «i cambiamenti di significato» - fossero disposte nel verso dirette, per essere se stesse, nell'attimo dell'identificazione, nel breve momento in cui !'«impeto differenziatore» conforma un oggetto, una «presenza» riconoscibile, per subito sostituirla. In quell'attimo la parola si incarna, giunge al più alto grado di funzionalità, nell'«inscindibile organismo vivente» del verso, in quell'attimo, la parola conosce il segreto ellenistico-cristiano, «il segreto della libera reincarnazione, grazie al quale essa si è fatta appunto carne sonora e parlante». All'assenza metaforica, al moto elusivo del desiderio d'oggetto in oggetto, si oppone la «presenza» (istanta87
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