Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

nella parola. Ma è il «linguista amoroso» che, al di là della poetica strutturale, ci riporta in maniera decisiva alle questioni fondamentali in Mandel'stam e, in generale, nella linea «metafisica». Ci riporta a una semantica in movimento, «amorosa». In questo, Hopkins anticipa il Bachtin solitario, che «non accetta i princìpi fondamentali del formalismo», ma si rifà a una linea della poesia russa che ha, tra i suoi «formatori» Chlèbnikov e Mandel'stam42 • Pur risentendo il fervore degli studi di poetica dell'Opojaz, legati ai poeti futuristi, Bachtin pensa alla parola come un va e vieni tra oggetto e parola altrui: per lui il significato è immerso nella pluridiscorsività, che «complica il cammino di ogni parola verso il suo oggetto». Ma nella lingua poetica, il poeta è solo con le proprie parole, anche di fronte all'oggetto; solo di fronte al loro movimento, che si compie al limite, senza passaggi intermedi. Nell'immagine poetica in senso stretto (nell'immagine-tropo) tutta l'azione (la dinamica dell'immagine-parola) si gioca tra la parola (in tutti i suoi momenti) e l'oggetto (in tutti i suoi momenti). La parola s'immerge nell'inesauribile ricchezza e nella contraddittoria molteplicità dell'oggetto, nella sua natura «vergine», ancora «non detta»; essa perciò non presuppone nulla al di fuori del proprio contesto (tranne, naturalmente, i tesori della lingua)43 . Non è una posizione risolutiva e pacifica. Per Bachtin la lingua è tutta sulle labbra altrui, saccheggiata, penetrata di intenzioni e accentuazioni. Per lui, parlare vuol dire entrare nell'agone, prendere le parole dalla bocca altrui e piegarle alle proprie intenzioni. Ma la poesia non si limita a questo, affronta un'altra lotta, radicalmente ascetica. Il poeta brucia l'intero universo linguistico, e prende possesso «unico», esclusivo, di poche parole, per82

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