Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

a un'altra grande esperienza di impulso dinamico del verso: quella di Gerard Manley Hopkins. Osservavamo altrove39 , come sia evidente in Hopkins una consapevolezza novecentesca delle questioni del ritmo del verso. Gonfiando la misura classica del decasillabo, nel sonetto inglese, Hopkins introduce dei «contrappunti» in parallelo al ritmo di partenza che suppone noto e inconfondibile. Aggiunge mezzi piedi supplementari fatti di una, due o tre, sillabe atone, non contate nella scansione. Due ritmi scorrono in qualche modo allo stesso tempo insieme in questo che egli chiama running rhythm. Senza la sua accentuazione scritta diventa difficile scandire il verso, così rallentato e dilatato. Ma la struttura grammaticale sintattica (parole composte, sistemi appositivi, e catene allitterative), sottolineando l'estensione del verso, produce un effetto di martellamento parallelo allo stress vero e proprio, che accelera il testo vincendone l'elefantiasi. Fuori dalla struttura metrica classica, Hopkins mette a punto un altro sistema ritmico, lo sprung rhythm, dove gli accenti vanno seguiti quasi di corsa, senza atoniche in mezzo. In entrambi i casi, essenziale è la rapidità del tracciato che corre come un'onda, sostenuta dallo stress: lo slancio che «avvolge in rotoli di ondate crollanti» lo squillante richiamo delle parole, e da verso a verso, nel movimento, tiene insieme l'unità e le parti, collega le equivalenze e distribuisce il simmetrico e l'asimmetrico. Lo stress di Hopkins è l'impeto mandel'stamiano (poryv): per entrambi un flusso energetico sostiene la materia poetica, e ne struttura il ritmo in accelerazione. Per teorizzare questo flusso, Hopkins guarda a Dryden. 80 Il mio stile tende sempre più a Dryden. Che c'è in lui? Molto ma in primo luogo questo: è il più mascolino dei nostri poeti; il suo stile e i suoi ritmi hanno messo il più forte accento in tutta la no-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==