zotto: un significato nullo che poi si carica fino a diventare perturbante. E nasce come la poesia, un mostro per Montale nel Dialogo: «nasce come nasce, da un'intonazione iniziale che non si può prevedere prima che nasca il primo verso». È un significato in fuga, nella poesia «metafisica», che non conosce la corrispondenza reciproca del significante e del significato, anche se non rinun� eia a una certa «idea di comunicazione», ma di secondo grado, come deformata attraverso sistemi precari di accelerazione e di ritardo. Non c'è «corrispondenza» in Mandel'stam, che immagina i significati vagare intorno alle parole, senza mai fermarsi su di loro. Non c'è in Hopkins, che schiaccia i significati in colonne di parallelismi sonori. Ma c'è un'idea di comunicazione che, senza risolversi in messaggio comunicativo, attraversa e dà tensione alla loro poesia. È un'idea di «comunicazione» che non sta a indicare nel segno, parola per parola, una risoluzione semantica senza residui, ma sottolinea la freccia, la linea che attraversa tutto il testo come quel movimento che istituisce un legame fra destinatore e lettore. Come se attivasse orizzontalmente tutte le funzioni messe a fuoco da Jakobson nel suo schema della comunicazione. In particolare le funzioni che insistono sull'emittente (emotiva), sul contesto (referenziale), sul messaggio (poetica), sul destinatario (conativa), quest'ultima senza l'obiettivo di provocare azioni reali. Per questo parliamo di una tensione «comunicativa» verso la rottura del quadro letterario: la poesia «metafisica» attraversa e scavalca la relazione del messaggio con se stesso, che caratterizza la funzione poetica. Una volontà essenziale afferra il testo, come se potesse attivamente indirizzare al lettore quel gremito d'oggetti, quel contrasto di forze interne alla lingua che si muove in un universo di sensi in espansione, in movimento «eracliteo». È questa la tensione «comunicativa» nella densità della lingua poetica di Hopkins, Thomas e Mandel'stam, e più vicino 54
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==