Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

del concetto di cultura, [pur essendo sostanzialmente in disaccordo con il culto di Amon-Ra o con le tesi dei Concilio di Trento] si appassionano per forza alla serie, per così dire, di sconvenienti convenienze. È proprio questo il senso della sudditanza culturale che stringeva, nel secolo scorso, l'Europa universitaria e scolastica, avvelenando il sangue dei costruttori originali di formazioni storiche successive, e, cosa ancor più grave, calando in calco di compiuta ignoranza ciò che invece avrebbe potuto essere un sapere vivo, concreto, splendido, riportato al passato come al futuro.] Non è lecito ficcare il discorso poetico nella «cultura» come resoconto di formazioni storiche: così facendo si ignora che la poesia è, per sua natura, materia prima. Contrariamente a quanto comunemente si crede, la lingua poetica è infinitamente più scabra, meno "limata" di quella «parlata». E proprio come materia prima ha a che fare con la cultura interpretativa. È quanto mostrerò sull'esempio di Dante. Anticipo sin d'ora che, nella Commedia, l'indipendenza - tipica della materia prima - della lingua poetica non viene mai contraddetta, direttamente o indirettamente. Gli usurpatori del seggio papale potevano non temere quei suoni che Dante riversava su di loro, potevano restare indifferenti al fuoco d'artiglieria2 con cui Dante li giustiziava, seguendo le leggi della metamorfosi poetica. Ma nella Commedia viene prevista e rappresentata l'esplosione del papato come formazione storica. Si rivela così l'infinita scabrosità della risonanza poetica, fuori quadro rispetto alla cultura delle convenienze che insulta, con il suo diffidarne, sputandola fuori come un gargarismo con cui ci si è pulita la gola. 34

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