Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

rapporto tra Freud e Ferenczi e le «deviazioni» di quest'ultimo rispetto alla teoria di Freud. Oltre ai contributi degli psicoanalisti ungheresi, vanno ricordati i lavori di H. Dahmer (1978), F. Cremerius (1983), I. Barade (1972), C. Lorin (1983), e P. Sabourin (1986). Dopo tutto quanto è stato appena elencato, vien da chiedersi se c'è ancora qualcosa di nuovo che si può dire di Ferenczi. Posso ricordare che in un mio scritto del 1986 sulla storia della psicoanalisi ungherese descrissi il ruolo che Ferenczi ebbe nel movimento psicoanalitico ungherese dagli anni '20 in poi (L. Nemes, 1986). Tutte le biografie sono concordi nell'affermare che dopo il 1920 Ferenczi rimase tagliato fuori dal movimento psicoanalitico internazionale e che in conseguenza di ciò volse tutte le sue energie alla cura dei pazienti. Lowenthal (1986) scrive: «In seguito ai rivolgimenti politici in Ungheria, quando le forze borghesi presero il potere, egli incontrò grosse difficoltà ad agire pubblicamente. Si concentrò di più sui suoi pazienti e fece i primi tentativi per rifondare l'analisi indirizzandola verso una tecnica cosiddetta "attiva"». Nello stesso tempo - cioè dal 1920 in poi - l'Ungheria produsse una nuova generazione di psicoanalisti, che guardavano a Ferenczi come al loro leader. La vita letteraria e culturale di Budapest, bloccatasi durante la prima guerra mondiale, riprese nuovamente vigore. All'inizio degli anni '30 vennefondato un Policlinico psicoanalitico, nacque la Società ungherese di psicoanalisi, e la scuola psicoanalitica di Budapest si riorganizzò, arricchendosi di membri i cui nomi sono noti ancora oggi che sono trascorsi cinquant'anni. È quindi piuttosto sorprendente leggere nel necrologio di Ferenczi, scritto da Balint, che «colui che aveva tanti amici, sparsi per tutto il mondo, morì quasi completamente isolato». È possibile che la rinascita di Ferenczi sia incominciata troppo tardi? Era stato direttore del Policli160

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