Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

nova, ma non possiamo fare nulla per le vittime. Seguiamo le sorti della nostra squadra di calcio, ma non possiamo aiutarla nemmeno smettendo di fumare. Il grande apparato dei film e della narrativa di bassa lega alimenta fantasie su un mondo in cui i problemi morali non richiedono sforzi intellettuali per essere risolti, e in cui i rapporti personali sono ridotti al minimo di complessità possibile. Un tale stato di cose è peggio che evasione, poiché proponendosi come sostituto della realtà nega gioie e dolori della realtà stessa. Il valore che assume una presa di posizione di gruppo in un contenzioso industriale può derivare dal fatto che restituisce agli individui del gruppo una parte della loro eredità. Può essere un utile preludio per l'indagine scientifica l'idea che il movimento sindacale della Trade Union prima, e gli scioperi selvaggi poi, rappresentino assai di più una reazione dei lavoratori alla loro condizione di diseredati psicologici piuttosto che una profonda insoddisfazione per i salari o la mancanza di benessere materiale. Ogni essere vivente eredita anche dolore e avversità. Negare che questa è una componente della vita umana è crudeltà non minore che negarsi un aiuto reciproco. Secondo John Donne «il dolore è una cosa preziosa e raramente l'uomo ne ha a sufficienza: nessuno ne ha abbastanza finché non ne viene arricchito e maturato». Oggi nessuno sembra lamentare una scarsità di questo bene di prima necessità: ma, allora, non può darsi forse che la ribellione ai nostri complicati meccanismi individuali e sociali di diniego delle preoccupazioni e delle difficoltà quotidiane abbia preso la forma di una produzione artificiale di calamità su larga scala? In questo caso l'idea corrente che la guerra e le sue privazioni siano positive per la razza viene scossa dalle fondamenta. La crescita e il declino delle civiltà hanno da sempre 150

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