Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

di scongiurare il pensiero di una «fine della civiltà», si insinui un'immagine leopardiana, così insolita per la sua indole: si è tessuta l'illusione che la civiltà umana sia la forma a cui tende e in cui si esalta, e che la natura le faccia da piedistallo. E richiede uno sforzo penoso passare alla diversa visione della civiltà umana come il fiore che nasce sulle dure rocce che un nembo avverso strappa e fa morire, e del pregio suo che non è nell'eternità che non possiede, ma nella forza eterna e immortale dello spirito che può produrla sempre nuova e più intensa88 • Croce non può evitare un tono esortativo nella sua risposta ai sinistri annunci di una «fine della civiltà» («il partito da prendere non è dubbio, perché è il solo che non abbassi la vita spirituale dell'uomo nella sua integrità a quella mutilata ed abietta del vivere pur che sia»89 ) ma non può neppure essere pago di lasciare trascorrere soltanto, sullo squarcio inflitto dalla guerra, un'esortazione morale o l'immagine poetica del fiore che nasce sulle rocce. Il pensiero di quanto è successo lo costringe ad un laborioso ripensamento che investe, insieme alla sua concezione della storia e della politica, la sua intera visione filosofica. Ritorna con insistenza in questi anni il concetto della vitalità, reduce da tante escursioni tra i luoghi dei «distinti». In passato, la «vitalità», opposta alla moralità, era stata custodita nei confini dell'Utile. La guerra aveva mostrato quanto potesse essere condizionante e influente per ogni sfera della vita. Così, la vitalità non solo sarà "assunta" dal Croce «tra le forme dello Spirito, attiva e creativa al pari delle altre»90 , ma addirittura, più tardi (1951), ad essa sarà riconosciuto perfino «l'ufficio integratore delle altre forme dello Spirito»: un ufficio «rivoluzionario» che, «provocando il nuovo», «suggerisce problemi da ri125

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