Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

occidentale era stato in balia di una così disperata assenza di elementi che potessero lasciar intravedere un progresso della civiltà umana. Negli anni appena trascorsi non si era semplicemente consumata la sostituzione di un ordine sociale, come spesso avviene nella storia. Nello sfogo delle forze che si erano scatenate durante la seconda guerra mondiale lo storico ha potuto davvero avvertire il pericolo di una fine, di un passo irreversibile verso la signoria assoluta degli «spiriti inferiori» che, nel consueto svolgimento della storia, sono tenuti a freno dialetticamente dalle forze morali. Croce, così riflettendo, rasenta l'abisso di un totale scoramento ma, come più volte aveva fatto durante la sua vita, cerca ancora una volta ragioni valide per non consegnarsi al pessimismo: bisogna farsi forza e fronteggiare gli eventi, anche quelli più ripugnanti e dolorosi, «non guardarli come innaturali e neppure come extramondani»86. Anche l'ultima catastrofe è pur sempre un accadimento che si è svolto nel luogo della storia e non altrove. E i fatti della storia, malgrado la loro novità, devono essere necessariamente spiegati «come elementi della vita stessa e da questa ineliminabili»87 . Il lettore di Croce riconoscerà senz'altro in queste parole una ricorrenza, una argomentazione già spesa in altre occasioni. Eppure, adesso, non si tratta del solito e olimpico «realismo» crociano, quello che già si era espresso discutendo gli assunti del materialismo storico o gli ideali di «pace perpetua». In questi anni il consueto riconoscimento crociano che la vita è lotta, che la guerra è ineliminabile dall'orizzonte della storia, che !'«elemento morale non opera da solo» e non è onnipotente, che «la vita organica non aspetta il nostro permesso» per imporsi e per sorprenderci, tutto questo crociano buonsenso è turbato da una nuova e diversa consapevolezza che si sta facendo strada. È significativo che, nello stesso luogo in cui Croce cerca 124

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