Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

In passato, l'urto tra gli Stati gli appariva come una trama necessariamente intessuta dallo «Spirito del mondo» per cui l'uomo etico, il cittadino e financo il filosofo non erano chiamati a scegliere il campo di battaglia delle loro convinzioni ma dovevano semplicemente difendere il proprio gruppo e le proprie posizioni, qualunque esse fossero, come «sentinelle» che non discutono il compito assegnato e presidiano ubbidienti la loro trincea. Il criterio universale si componeva, allora, per intima necessità, dal dissidio e dal riconoscimento dei vari interessi in conflitto. La lezione della prima e della seconda guerra mondiale aveva modificato, in Croce, quel rassicurante quadro in cui ognuno, facendo il suo interesse di gruppo,· avrebbe congiurato agli interessi universali dell'umanità. Adesso Croce distingue tra le nazioni (e i nazionalismi) e le patrie, che «tutte collaborano tra loro»81 e la patria è un ideale morale e chiama ad una «scelta» morale che, se è necessario, dovrà innalzarsi persino sui doveri dell'obbedienza militare (nel '43 Croce dirà espressamente che la «virtù dell'obbedienza militare» può diventare «obbrobriosa» e che anch'essa «deve avere il suo limite nella suprema istanza del senso morale» 82). Manifestando queste posizioni Croce non può fare a meno di giustificare quelle affermate nelle sue precedenti «pagine» sulla prima guerra mondiale: la guerra che si combatteva era per me, allora, una guerra politica nei rapporti di potenza, di egemonia, di espansione coloniale; e non senza ragione diffidavo dei motivi ideali di libertà e democrazia con cui si cercava, specialmente da parte dell'Intesa, di imbandierarla. E veramente quel che seguì a guerra vinta non si può dire che portasse smentita alla mia diffidenza83 • Quel «dissidio spirituale» che Croce avvertiva tra il senso del proprio dovere (che lo induceva a comportarsi 122

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