«schierarsi alla difesa del proprio gruppo». Ed è come se questa istanza morale si innalzasse, assumendo un suo particolare rilievo, dall'orizzonte paritetico in cui convivono i distinti. Questo nuovo punto di fuga, orientato dalla sofferta riflessione sulla guerra, coinvolge persino Hegel e costringe Croce a considerare I limiti della dottrina dello Stato come potenza (è questo il titolo di un suo saggio apparso sulla «Critica» nel 1916) dopo aver riconosciuto la necessità della legge (il conflitto) che regola i rapporti di forza tra gli Stati. E a Hegel Croce cerca di arrecare una «correzione», proprio in quel punto laddove il filosofo tedesco aveva («erroneamente») inteso «lo Stato, e la lotta per lo Stato, come "superiore" alla morale»44• Croce non rinuncia, certo, a ribadire - anche in questa medesima sede - la teoria dell'autonomia di politica e morale («la dottrina dell'autonomia dello Stato, della indipendenza della politica dalla morale, viene non già scossa, ma confermata e rassodata»45 ) e, qualche tempo dopo, in un suo Ritorno sulle postille precedenti (maggio-settembre 1916) accentua la sua premura di distinguere le proprie posizioni da quelle dell'umanitarismo massonico o cristiano e ripropone il disegno di una «realtà come svolgimento e lotta, la quale non domanda, come alcuni credono, una eccezione della morale in favore della politica, ma, per contrario, inculca all'individuo lo strettissimo dovere morale di trattare la politica in modo indipendente dalla morale»46• Il compito morale dell'individuo è quello di «partecipare al mistero doloroso del farsi della Realtà, e perciò alla perpetua lotta, che dal contrasto quotidiano giunge fino al contrasto armato o guerra»47 • Eppure, malgrado questa ribadita professione di fede per le «leggi divine» del mondo, la «correzione» ad Hegel, quel pensiero ancora in nuce che intuisce i «limiti della dottrina dello Stato come potenza», comincia lentamente a scavare un solco laterale e sotterraneo nella Weltan110
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