Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

patto di affrontare una radicale critica delle posizioni di pensiero e di metodo di Melanie Klein. Sotto il suo impulso il sapere psicoanalitico ha accentuato sempre più la propria avulsione dal riconoscimento della fobia, perdendo con ciò di vista l'angolo particolare sotto cui si configura il rapporto dell'uomo con la natura (le scienze) e con le arti. Questo angolo è eminentemente «fobico» e trova in un restauro, nel ripristino delle teorie sessuali infantili, la via regia per un approccio naturalistico e artistico, genialmente sovversivo, come in Giordano Bruno, alla realtà. In Hermann troviamo un'attenta considerazione dello spazio e con questo una riapertura degli orizzonti conoscitivi e poetici del soggetto: manca però, e credo sia utile rilevarlo, una teoria sessuale dei nessi tra la fobia e lo spazio, il riconoscimento cioè che l'accesso allo spazio non è libero, diretto, ma sbarrato, come per Sofia, nello Spaccio de la bestia trionfante, lo è l'accesso alla camera in cui fantastica degli amori incoercibili del padre, Giove. Solo il ritrovamento, in analisi, del proprio luogo della fobia permette a un analizzante di ricongiungersi con la propria intelligenza, vincendo quella che malamente è stata chiamata «inibizione». In realtà ogni volta che si parla di inibizione intellettuale scopriamo uno spazio senza scansioni. La «fuga del pensiero» è un fenomeno che risponde direttamente all'imposizione del modello di una conoscenza «penetrativa», una forma, kleiniana, di conoscenza che si fonda a sua volta sul modello della penetrazione genitale. Rispetto a un soggetto che ragiona in base alle teorie sessuali infantili la vagina è uno spazio senza divisioni. Le nuove conoscenze realistiche che una forzata interpretazione vuole introdurre nella latenza, non possono che risultare allucinanti. Il carattere di questa allucinazione si trasferisce poi in forme di pseudo-pensiero. Bisogna che come nell'Orlando furioso qualcuno vada 11

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