Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

do al proprio dovere. Così dovrebbe fare anche il poeta o lo scienziato: agire come cittadino, senza «prendere a impennacchiare di falsa poesia e di falsa scienza la tacita, oscura, misteriosa opera creatrice del sentimento e della volontà»33 . Questa posizione del Croce, questi distinguo, non furono bene accolti. Dalle pagine del «Marzocco» (a. XX, n. 31, 1 agosto 1915), G.S. Gargàno, interrogandosi su Il compito della filosofia, si lamentava del Croce: Benedetto Croce ci risponde che non ha nulla da dirci. E fa all'Italia un grandissimo danno. Egli accredita l'opinione che un'educazione filosofica è un semplice lusso della mente, poiché si rifiuta di irradiare della sua luce questa realtà nella quale viviamo: poiché non può far nulla per penetrare i motivi del nostro comune operare: poiché accentua quel dissidio che in Italia fu continuamente sentito fra l'animale metafisico e l'animale sociale. La replica del Croce non si fa attendere: «La filosofia conosce non solo la realtà ma sé medesima» e «quando l'azione è nel fervore del suo svolgimento, è vano offrire a lei o dimandare per lei soccorsi filosofici: oportet studuisse, non studere: è tempo di prova e non d'indagini e discussioni critiche» 34 . La filosofia non può pretendere di orientare i destini del mondo: semmai, sono questi «tempi di prova» che le suggeriscono la conferma di un principio: quello della forza, vanamente contraddetto dal pensiero progressista e umanitaristico del XVIII secolo. Questi tempi di guerra insegnano al pensiero che la vita è lotta, che il destino politico delle nazioni si decide con il conflitto e che le guerre non si lasciano scongiurare dalle luminose professioni di giustizia e umanità essendo esse «determinate e sostenute dal profondo istinto, e dalle passioni dei popoli, i quali 106

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==