Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

La terza edizione di questo libro vien fuori dopo che abbiamo vissuto un'altra guerra più atroce di quella che gli porse occasione [...]. E, rileggendo ora le mie pagine, dolorosamente io misuro quanto siamo discesi giù dal grado di civiltà che allora in qualche modo si mantenne9 • Da questa constatazione, dal riconoscimento di questa «caduta» conviene cominciare per capire, insieme al giudizio crociano sulla seconda guerra mondiale, l'inevitabile nesso che questo giudizio stabilisce con la sua filosofia. Come mai siamo «discesi» tanto in basso? Cosa c'è di nuovo e di così terribile in quest'ultima guerra? Quali immagini dell'uomo e della storia balenano da questa esperienza? Quale futuro per la libertà? Per non rinunciare a "pensare" (e ad "agire") nell'epoca dei sopravvissuti, Croce non può smettere il suo abito di storico e di filosofo ed è chiamato a cimentarsi con questi interrogativi, a giustificare e persino a modificare certe sue precedenti posizioni. E, per seguirlo in questo delicato (e non sempre esplicito) ripensamento, bisognerà riprendere il filo delle sue riflessioni e dei suoi interventi, proprio a partire da quelle Pagine del '14-18. La prima guerra Allora, sin da quando la «neutralità» italiana era inquietata dal conflitto tra pacifisti e interventisti, Croce si sentiva «persuaso che, in un modo o nell'altro, l'Italia dovesse partecipare alla guerra, e che si trattava solo del modo e del tempo»10 • E, pur avendo aderito alla posizione del giornale «Italia nostra» che consigliava di non schierarsi con alcuna delle parti in lotta, sentiva che la guerra si faceva inevitabile anche per l'Italia. Non trovava ancora ragioni per giustificare questa sua impressione, anzi polemizzava con gli «apostoli» del bellicismo che escogi100

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