Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

non potevano che produrre rapporti e rappresentazioni contrarie, data la scissione che instauravano fra l'uomo e l'animale. La proiezione opposta, quella dell'animale sull'uomo, non è certo più innocente, e l'etologia scientifica o popolare, quando non è la sociobiologia, ne abusa frequentemente (la vita è una giungla, l'uomo è un lupo per l'uomo, i più forti mangiano i più deboli, la femmina è sottoposta al maschio...). Riemerge qui il problema dei confini. Colette Guillaumin (1978, 750-2) constata che «se la comune natura animale permette di fare dell'uomo, di volta in volta e secondo le necessità, uno scimpanzé, un lupo o un gallo cedrone, non ci si preoccupa minimamente di spiegare il lupo con il gallo né lo scimpanzé con il lupo. Questa univocità rivela almeno una cosa: l'ideologia descrive l'animale ma spiega l'uomo, il referente è l'uomo e non il comportamento socio-animale in quanto tale; l'animale è la maschera che dissimula, e piuttosto male per la verità, il proponimento di giustificare [...] l'uomo. [...] Malgrado le apparenze, non siamo poi così lontani da La Fontaine o da Esopo, incapaci come siamo di non proiettare le nostre "passioni", di non popolare il mondo di costruzioni da cui nascono i nostri reciproci rapporti». Questa osservazione sembra pertinente soprattutto nel caso delle specie vicine all'uomo (mammiferi, vicinanza biologica, insetti sociali, vicinanza analogica), ma più ci si allontana dall'umano in direzione del bizzarro (invertebrati), meno è possibile il transfert. Studiando il comportamento di una mosca, di una zecca o di un verme piatto, gli etologi debbono dunque fare intervenire un gradiente dal più forte (scimmie) al più debole (verme piatto) (Yves Gonseth, comunicazione personale). · Quanto alla sperimentazione animale, essa si trova in molti casi nelle stesse difficoltà di trasposizione, tanto è 94

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