Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

fra libagioni, canti e danze, il maiale non fu ucciso che alla fine di una cerimonia che durò più di un'ora. Uno dei sacerdoti praticò un'incisione col coltello e vi conficcò un bastone di bambù che rigirò nella piaga. La morte non fu istantanea, ma sopraggiunse dopo appena qualche secondo. Un altro sacerdote fece poi a pezzi l'animale. Alcune parti furono messe da parte per i partecipanti e le altre furono bollite e poi mangiate con del riso e del brodo di cottura (legumi e frutta erano allora severamente proibiti). Mi è venuto in mente il confronto assistendo a un banchetto a Saint-Martin nel Giura, ad una festa che riuniva tutta la famiglia, gli amici e i contadini attorno al maiale, alcune parti del quale, ordinariamente consumate, vengono preparate e servite in seguito. Ma l'uccisione avviene dietro le quinte e sotto controllo, come se non dovesse o non potesse più essere compresa, nei due significati del termine. La pratica sacrificale appare anche nella «jass au cochon» che nel Giura riunisce in una sala di ristorante un grande numero di giocatori di carte ai quali un organizzatore assegna un posto tirandolo a sorte. I partecipanti si scontrano poi ai punti o per eliminazione, per la spartizione delle parti del maiale, fatto a pezzi e affumicato (il lardo e talvolta la salsiccia, le costolette grandi e piccole, le spalle e i prosciutti). Nuovamente mancano nel rito la vita, il sangue e la morte, ma la cerimonia fa ugualmente venire in mente la spartizione sacrificale e una specie di esaltazione del maiale. Proibizioni Il maiale non è dappertutto così valorizzato come nelle società sopra richiamate ed è anche oggetto di proibizioni assolute nelle società ebrea e mussulmana, il che rende necessaria l'analisi delle classificazioni che sono alla base 80

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==