Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

mento illimitato. La visione lacaniana del soggetto è una visione antropocentrica, la «relazione dell'uomo con la natura» riducendosi alla sua «relazione con l'altro uomo», ma al centro viene a trovarsi ancora, sia pure negato, non riconosciuto, quel Padre di cui Freud aveva evidenziato lo strapotere. Ponendo al centro questo buco, il grande manque, vide centrai, che il mancato riconoscimento della funzione paterna scava nel cuore dell'essere, i soggetti singoli si trovano condannati a incarnare uno stato di appetito e a condividere con la materia svuotata e passivizzata lo stato di «figlio de la privazione e simile a l'ingordiggia irrefrenabile de la vogliente {emina». Figura in un autore come Giordano Bruno del desiderio inappagabile dell'isterica. E giungiamo così a quello che per me è un «altro» e diverso punto di partenza per il soggetto. Intendo Giordano Bruno che nei tre dialoghi italiani sulla Cena de le Ceneri, Lo spaccio de la bestia trionfante e gli Eroici furori, disegna tutto il percorso di una formazione del soggetto: uccisione e spezzettamento del corpo del padre (la Cena); riparazione dei danni del godimento paterno e restauro della figura del padre (lo Spaccio); fine dello sgomento del soggettò di fronte al godimento del padre, superamento del trauma inferto dall'Amore genitale e ritrovamento di una propria dimora in una natura liberata (Eroici furori). In Bruno la soggettività, la qualità di soggetto, viene a trovarsi dislocata presso le cose: intelletto universale, anima del mondo, dio nelle cose, a essere «soggetto» è la materia del mondo, natura piena di tutte le forme, sottratte da Bruno alla mera condizione di privazione, all'abisso di appetito genitale cui la riconduceva il detto: «Os vulvae nunquam dicit: sufficit». A un soggetto di discorso, puro «effetto di linguaggio» secondo Lacan, opponiamo così con Bruno la soggettività di 8

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