Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

44 vegetazione a intervalli di non più di cinque metri attorno al cerchio di terreno su cui avanzavo i miei diritti. Quest'opera richiese la maggior parte della notte e frequenti ritorni alla tenda per ingerire copiose quantità di tè; ma prima che l'alba riportasse i cacciatori a casa il lavoro era compiuto e mi ritirai, un po' esausto, a osservare i risultati. Non dovetti aspettare molto. Alle 8 e 14, secondo il mio diario, il maschio capo del clan comparve alla sommità dell'elevazione alle mie spalle, dirigendosi verso casa con la sua consueta aria preoccupata. Come al solito non degnò la tenda di uno sguardo; ma quando raggiunse il punto in cui il mio confine intersecava la pista, si fermò improvvisamente come se avesse cozzato contro un muro invisibile. Era soltanto a cinquanta metri da me e col mio cannocchiale riuscivo a distinguere assai chiaramente la sua espressione. La sua aria affaticata svanì e venne sostituita da un'espressione di sbalordimento. Allungò cautamente il naso e annusò uno dei cespugli segnati da me. Sembrò non sapere come interpretarlo o che decisione prendere. Dopo un minuto di indecisione completa retrocedette di alcuni metri e si sedette. E poi, finalmente, guardò direttamente la tenda e me. Fu uno sguardo lungo, pensieroso e meditabondo. Dopo aver raggiunto il mio obiettivo di costringere almeno uno dei lupi a prendere atto della mia esistenza, cominciai a chiedermi se, nella mia ignoranza, avessi trasgredito qualche legge lupesca di importanza fondamentale e dovessi pagar cara la mia temerarietà. Mi trovai a rimpiangere la mancanza di un'arma mentre lo sguardo che mi veniva rivolto si faceva più lungo, più pensieroso e ancora più intento. Cominciai a diventare decisamente irrequieto, perché non amo gareggiare a guardar fisso, e in questo caso particolare mi trovavo davanti a un maestro, il cui sguardo giallo sembrava diventare più minaccioso quanto più tentavo di fargli ab-

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