minimo interesse per me. Quando ciò accadde avevo appreso molte cose sui miei vicini lupi, e uno dei dati emersi era che essi non erano vagabondi nomadi, come viene quasi universalmente creduto, ma bestie stanziali e proprietari permanenti di una grande superficie di terreno con confini ben definiti. Il territorio posseduto dalla mia famiglia di lupi aveva un'estensione di più di cento miglia quadrate, delimitate su un lato da un fiume ma altrimenti prive di confini caratterizzati geograficamente. C'erano però dei confini, chiaramente contrassegnati alla maniera dei lupi. Chiunque abbia osservato un cane fare il giro di un isolato e lasciare il suo segno personale su ogni palo adatto avrà già indovinato in che modo i lupi contrassegnavano la loro proprietà. Una volta alla settimana, più o meno, il clan faceva il giro delle terre di famiglia e rinfrescava i contrassegni dei confini: un modo lupesco di ribadire i picchetti. Questa diligente attenzione ai diritti di proprietà era forse resa necessaria dalla presenza di altre due famiglie di lupi, le cui terre confinavano con le nostre. Poiché non scoprii mai alcun segno di bisticci o disaccordi fra i proprietari dei vari possedimenti contigui, ho il sospetto che si trattasse più che altro di un'attività rituale. A ogni modo, una volta giunto a rendermi conto del tenace senso dei diritti di proprietà che esisteva fra i lupi, decisi di servirmi di questa cono- . scenza per costringerli per lo meno a riconoscere la mia esistenza. Una sera, dopo che se ne furono andati per l'abituale caccia notturna, delimitai una mia proprietà, che abbracciava forse tre acri, con la tenda nel mezzo, e comprendente una sezione lunga cento metri del sentiero dei lupi. La delimitazione del terreno si rivelò alquanto più difficile di quanto avessi previsto. Al fine di assicurarmi che la mia pretesa non venisse ignorata, mi sentii obbligato a fare un contrassegno di proprietà su pietre, blocchi di muschio e tratti di 43
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