Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

semplice, il «pig rearing», con cattura nella foresta e castrazione dei maschi a 5 mesi, mentre le femmine vengono fatte inseminare da verri selvaggi. E una più sofisticata, in cui i suini più belli razzano, il «pig breeding». Il sistema più semplice è diffuso in tutto il sud est asiatico; il secondo, collegato a un'agricoltura più intensiva e a tecnologie più sofisticate, è diffuso nelle alte terre della Nuova Guinea. In entrambi i sistemi, i porci ricevono ogni cura e attenzione possibile, vengono alimentati con premasticazione e con allattamento, la loro morte è pianta come quella di un figlio e come per questi ci si seziona la falange di un dito. È la madre stessa che deve portare i suoi porci al sacrificio, consegnandoli agli uomini. Di nuovo abbiamo un'incisione sacra e rituale o collegata con le grandi feste. E ancora il pianto della madre accompagna il sacrificio. In più la madre con la sua famiglia si astiene dal consumo della carne del proprio «figlio». Possiamo allora innanzitutto osservare che vi è un nesso tra questo allattamento e gli ecosistemi della caccia e raccolta e che esso si mantiene tra gli agricoltori dei giardini forestali. Gli studiosi di queste civiltà hanno messo in luce che si tratta di un sistema sociale che rende gli animali diversi e li toglie fuori dalla vita selvaggia. Sono animali familiari, inseriti nel mondo femminile e controllati dalle donne, ma appartengono all'uomo cui le madri devono consegnarli al momento del sacrificio. La loro carne non rientra nella composizione del pasto quotidiano, non è neutra, ma colma di significato. È consumata e ripartita nei principali riti di passaggio o anche di ospitalità. Consumata in cerimonie religiose, questa carne acquista un significato o adempie a una funzione «sacrificale». E possiede anche qualità terapeutiche. Siamo quindi di fronte a rapporti e relazioni estrema34

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