Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

così li descrive la tradizione per accentuarne la devianza; così appaiono anche nell'iconografia di fine Ottocento. La loro devianza consiste nell'allattamento dell'orso. I piccoli, portati in numero di 4 o 5 all'accampamento, vengono affidati alle donne che li allattano e li nutrono con cibo premasticato. L'orso così nutrito è sacro, come indicano anche le decorazioni della gabbia di legno che lo ospita quando è cresciuto. Per ciò stesso è destinato all'uccisione sacrificale nella festa dell'orso, a settembre o a ottobre, all'età di due o tre anni. Un complesso rituale precede l'uccisione per strangolamento, così dev'essere perché il sangue non venga versato. Sono canti e danze, spiegazioni all'orso sulle ragioni della sua morte, di cui si chiede il perdono. Il sacrificio ha infatti il compito di garantire un inverno ricco di lontre e un'estate di foche e pesci: questo è il messaggio che porta l'orso in ringraziamento del buon trattamento ricevuto. La morte dell'orso è accompagnata dal pianto della madre, che geme e si strappa i capelli. Segue il banchetto cui partecipano anche le donne. Questo stesso rituale è presente nella Nuova Guinea dove è il porco l'animale del sacrificio. Possiamo esaminarne un esempio, quello della civiltà dei Gogodala, orticultori itineranti di giardini nella foresta, che coltivano l'igname sul litorale e il taro sulle colline, e insieme cacciatori e pescatori. In questa civiltà il porco è situato al centro del sistema sociale, è il corrispettivo animale dell'esse re umano per cui il suo al levamento scandisce l'esistenza e pervade interamente il quotidiano. J. A. Baldwin (1978) ha paragonato il «cattle complex» dei pastori d'Africa dell'Est con il posto che occupano i porci della Nuova Guinea e ha coniato il concetto di «pig complex», oggi non più operazionale, ma che ne dice bene l'onnipresenza. Ci sono due forme di allevamento del porco: una più 33

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