Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

ni di razza europea importati dai bianchi. I cani hanno sostituito gli antichi allattamenti, continuano una tradizione, quella dei dingo, ma non ne hanno preso esattamente il posto: non sono più i grandi cacciatori mitici, ma solo una memoria. Quindi, l'allattamento dei cani non ha significato economico o sociale, non fa riferimento a nessuna categoria dell'utile né del sacrificio, ma ha funzione ludica. Questo trattamento familiare riguarda solo i cuccioli. I cani, crescendo, cambiano statuto e vengono allontanati. Sono quindi destinati a una vita grama, di accatto, contrassegnata dall'indifferenza e dal disprezzo. Eppure, da piccoli, ricevono un nome tradizionale o di riferimento mitologico, così come, ancora nei racconti mitici, i cani sono grandi cacciatori dalle straordinarie imprese e virtù. Nel presente hanno dunque uno statuto doppio e un'utilità simbolica e ideologica di memorie del passato, mentre servono nel presente per stigmatizzare i comportamenti devianti, come la falsità e l'avidità, di cui, adulti, divengono simbolo. In altre culture, il «maternaggio» non contraddistingue il selvaggio dal domestico, ma l'animale sacro destinato al sacrificio. Così nella Siberia del Nord Est, l'orso raccolto e catturato dai cacciatori viene affidato alle donne per l'allattamento e l'allevamento e, quando è grande, viene ucciso e mangiato nella festa dell'orso. E nella Nuova Guinea è la «madre» che deve portare i suoi porci «maternati» agli uomini che li uccidono e li mangiano. In queste culture c'è dunque una sorta di «antropofagia» interfamiliare o domestica, con valore sacrale e propiziatorio. Questa pratica di allattamento con valore sacrale era nota da tempo in riferimento a una antica civiltà oggi scomparsa, quella degli A'inu, già menzionati al tempo degli Han. In proposito c'è lo studio del 1937 di G. Montandon. Un popolo di uomini barbuti e irsuti e di donne tatuate: 32

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