Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

ziale da questa problematizzazione della categoria del domesticamento, che non appare più come «fatto» o «evento» del distacco dell'uomo dalla natura e l'inizio della civilizzazione. Proprio perché appare come problematico e complesso nei suoi inizi, ragioni ed esiti, su di esso stesso ci si può interrogare. La domesticazione è infatti un concetto funzionale all'animale uomo, per il suo lavoro e interesse, nei confronti degli animali, dei vegetali, delle risorse ambientali. È dunque un concetto viziato in senso antropologico oppure ha un rigore etologico di finalità dei viventi? A me sembra, questo, un interrogativo che non ci si può non porre: certo è un interrogativo filosofico che sfugge alle logiche antropologiche di lettura delle strutture delle varie civiltà. E a me sembra anche che in questa direzione vada oggi la problematica sollevata appunto dall'approccio ecosistemico, ponendoci di fronte a diverse tipologie e a diverse tecniche della domesticazione. In recenti convegni3 è stata ridiscussa criticamente la stessa nozione di domesticamento, che appare troppo connotata dall'empiria, quindi inadeguata a rendere conto delle molteplici forme del rapporto uomo-animale. Nella nozione di domesticamento coesistono infatti tre diversi tipi di relazione: una giuridica che contraddistingue le forme dell'appropriazione; una etologica che configura i rapporti di familiarizzazione reciproca; una economica che dice i tipi e i modi dell'utilizzazione4. Sono rapporti che non stanno necessariamente insieme, anzi possono escludersi. E ciascuno di questi campi si presenta assai complesso. Sono stati così formulati alcuni approcci strutturali, di tipo sincronico, che cercano di sostituire, con un sistema logico di configurazioni più complesse, la classificazione binaria centrata sulla polarità domestico/ selvaggio. 27

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