Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

me dicono i livelli e le scelte tecniche: tracciano così percorsi differenziati. Inoltre, se il domesticamento è un dominio dell'uomo sull'animale, il posto che questo occupa nella società va al di là di una funzione economica e utilitaria. Come oggetto di dominazione, trasborda sul quotidiano e invade i campi della rappresentazione, delle idee, delle emozioni. Va dunque al di là di ciò che è sufficiente per trattarlo, riprodurlo e utilizzarlo. Ci si è chiesti se non sia la domesticazione che produce gli animali, ma si producano gli animali per produrre la domesticazione, cioè un dominio sulla natura e una riproduzione, sul corpo decomposto e franto dell'animale e del naturale, delle proprie strutture interne. Così almeno sembra dire la rituale spartizione del corpo animale al banchetto. Il corpo dell'animale diviene il supporto della rappresentazione simbolica: dalle diverse parti assegnate dipende il posto della persona o la divinità. Viene così istituita un'omologia tra corpo animale e corpo sociale. Oggi gli studiosi ipotizzano che inizialmente il domesticamento abbia riguardato piuttosto piante e animali con valore rituale e religioso. È tuttavia con la produzione-domesticamento del cibo che tutto cambia. Con il domesticamento produttivo si rendono più accessibili e disponibili le risorse alimentari. Ciò comporta un mutamento degli stessi animali nella loro fisiologia e psicologia. Oggi sappiamo l'importanza della produzione del cibo nelle scelte di civiltà come domesticamento del territorio: ad essa gli storici rivolgono un'attenzione nuova, a cominciare dagli archeologi della preistoria: la sua produzione sconvolge lo sviluppo delle società, si collega con la divisione dei sessi e delle classi: è per Leslie White (1959) la «prima grande rivoluzione culturale». Prendono avvio l'urbanizzazione, il tempio e il palazzo. Dobbiamo allora far riferimento ai diversi quadri originari del domesticamento: essi hanno lasciato profonde 25

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