Non si è esaminata con attenzione la possibile genealogia del segno barksiano, perché la classica riassuntività dei contorni sembra non derivare che da se stessa, tuttavia, come in tutti i grandi cartoonist ironico-parodici del Novecento, anche qui si ritrovano le tracce dell'ombra di Busch, e, quando la perfidia socio-antropologica si insinua nelle storie, è più facile, naturalmente, scoprire le fredde malizie del Busch animalista, spesso illanguidite proprio da tanti che a lui si richiamano esplicitamente, mentre Barks non allude mai ai suoi possibili maestri. Gottfredson si allontana nettamente da Herriman, e il suo Mickey Mouse è, veramente, "un topo per tutte le stagioni". Dalle intrepide lotte rooseveltiane, combattute per liberare la città da una mafia che allunga i tentacoli fino alla residenza municipale, alle ambigue tenzoni ambientate negli anni della guerra fredda il Mickey Mouse di Gottfredson presenta continuamente le sue credenziali. Perché Gottfredson è appassionato e creativo cultore dell'immaginazione sociologica, avrebbe potuto disegnare storie di uomini e ha bisogno di Topolino quasi per le stesse ragioni per cui Carl Barks ha scelto di esser l'eterno cantore delle gesta di Donald Duck. È un Mickey Mouse che deve, all'occorrenza, sia percorrere, desolato, le strade della metropoli per cercare lavoro, sia compiere spericolati giri del mondo, sia rendersi partecipe di una minimalità quieta e arguta che dettaglia, giorno per giorno, la vita media dell'uomo medio americano. È un topo per poter raffigurare più tipi di uomini e anche per poter concretamente avverare i sogni più o meno repressi di chi vorrebbe correre a scoprire il tesoro dell'Isola di Neraperla, ma non può muoversi di casa perché ha problemi con il condominio e deve pagare la sua quota nel rifacimento del tetto. Sono topi e paperi, peraltro, anche perché, così, scegliendo queste parvenze tutto sommato saturnine, inesistenti, incapaci davvero di rimandare a un referente zoo154
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