Il piccolo Hans - anno XVII - n. 66 - estate 1990

In effetti, si trova contemporaneamente dal lato della natura e dal lato della cultura, ponendo così un confine che egli può oltrepassare senza difficoltà. Questa congiunzione è tanto più ambigua dal momento che si duplica in un comportamento inverso ogni volta che il cane si trova nell'uno o nell'altro dei due mondi. Il cane può dunque rappresentare le tre posizioni possibili: confine tra natura e cultura, intrusione della natura nella cultura e della cultura nella natura. Una tale ambiguità non è solo messa in atto nel pensiero simbolico, ma la si ritrova anche nella procedura sacrificale: essa suscita nelle classificazioni, come sarà mostrato più oltre, una congiunzione che viene utilizzata quando la vittima sacrificale deve servire a segnare una disgiunzione, come se l'eccesso di continuità fosse utilizzato per produrre discontinuità. Da questo punto di vista, le diverse posizioni assunte dal cane mkako ne fanno un essere del tutto particolare rispetto ad altre specie sacrificali. Analizzerò in secondo luogo i rapporti tra il pensiero classificatorio e il sacrificio del cane presso i Mkako, riferendomi prima di tutto alla tesi di C. Lévi-Strauss che mette in evidenza l'assurdità del sacrificio rispetto al pensiero classificatorio dal momento che è possibile sostituire una vittima con un'altra. Egli scrive: «i sistemi classificatori si pongono a livello della lingua: sono codici più o meno ben fatti, ma che mirano sempre ad esprimere un senso, mentre il sistema sacrificale rappresenta un discorso particolare privo di buon senso, benché proferito spesso» (Lévi-Strauss 1962 b; 302; tr. it. pp. 248-249). L. de Heusch si è domandato se il sacrificio non sia un atto assurdo dal punto di vista del pensiero classificatorio per il fatto che «il principio di sostituzione [...] costituisce in qualche modo la morte del pensiero classificatorio nelle operazioni sacrificali» (1986, 47). L'analisi della rappresentazione del cane presso i Mkako e del suo utilizzo co104

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