Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

grammatico - è perdere del monologo quel plus ultra, quell'oltranza perturbante che ne alimenta l'origine e le motivazioni più ambiziose, gnoseologicamente più avventurose e seducenti. Il monologo non è la cifra dell'estenuazione tardoromantica, non è solo sintomo dell'alienazione contemporanea o cifra metafisica del mito riproposto con la tecnica dell'intertestualità. È forse soprattutto assunzione e immersione precipite nella temporalitàmodernista, con tutti i rischi, le esaltazioni e le angosce della demolizione e della rifondazione aperta e problematica del mondo, nell'itinerario senza garanzie del soggetto novecentesco. Giovanni Cianci NOTE 1 Pubblico qui, con qualche ritocco, la relazione tenuta al seminario sul Monologo Interiore svoltosi presso L'Istituto di Lingue e Letterature straniere (Facoltà di Lettere), Università di Palermo, 2-3 ottobre 1989. 2 Cfr. R. Ellmann, James Joyce (1959), Oxford, Oxford Univ. Press, 19832, pp. 519-20 («il lettore si trova collocato, fin dalle prime.righe, nel pensiero del personaggio principale, e lo svolgimento senza interruzione ("déroulement ininterrompu") di quel pensiero, in sostituzione della forma tradizionale della narrativa, ci informa su ciò che il personaggio fa e su quello che gli accade»). 3 Cfr. F. Budgen, James Joyce and the Making of 'Ulysses' and Other Writings, Oxford, Oxford Univ. Press, 1972, p. 94 («Tento di rendere i pensieri delle persone non espressi e non estrinsecati in azione nel modo in cui essi occorrono. Ma non sono il primo a farlo. L'ho derivato da Dujardin»). 73

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