Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

massimo a rendere il senso acuto di quella crisi. L'universo aperto della città non consente più la buona forma, la forma «ben fatta»: esso accelera il collasso della linearità (che si era già affacciato timidamente nella Parigi dei Lauriers) e l'inderogabilità di una forma aperta e problematica: compresa ovviamente quella più macroscopica: quella del monologo interiore. Un riscontro affascinante è signìficativamente nel Boccioni del Manifesto dell'architettura (databile approssimativamente 1913-1914) là dove, in rapporto alla nuova morfologia e topografia urbana (La città sale... ) sottolineava la trasformazione dell'«ambiente architettonico della città in senso avvolgente» e così proseguiva: Fino a ieri la costruzione volgeva in senso panoramico successivo. Ad una casa succedeva una casa ad una via un'altra via. Oggi cominciamo ad avere intorno a noi un ambiente architettonico che si sviluppa in tutti i sensi23 C'erano qui, nella proposta della simultaneità, i presupposti teorici della sperimentazione spaziale e simultanea di Wandering Rocks, e i termini di una distinzione che ritorneranno nel poeta dei Cantos. Ancora negli anni densissimi del make it new (siamo nel '21) Pound distingueva il villaggio «narrativo» (e noi possiamo dire il romanzo «ben fatto»): ossia discorsivo, logocentrico, rispettoso della sequenza cronologica, dei nessi di causa ed effetto (del «panoramico» e «successivo» di Boècioni ecc), dalla città «cinematografica» (insomma il romanzo sperimentale): ossia discontinua, frammentaria, non lineare (!'«avvolgente» e omnidirezionale di Boccioni)24. Detto altrimenti: l'uno era il cosmo chiuso e monolitico delle convenzioni, delle continuità dei nessi e del radicamento, della permanenza, dei valori perenni e metafisici; l'altra, all'opposto, era l'universo degli orizzonti spalan69

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